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Il vino come manifestazione di eccellenza italica è un concetto non sempre univocamente associato a precise norme di parificazione, promozione, detenzione di competenza, eccetera.

Produttori di vino italiano approvano il Ceta

Per questo mi ha colpito oggi una notizia letta sulle agenzie stampa:

Il “settore vitivinicolo europeo sostiene il Ceta”, dichiara il segretario generale del Comitato europeo imprese del vino (Ceev, che conta Federvini tra i membri italiani) Ignacio Sànchez Recarte, alla vigilia della primo incontro del comitato Vini e alcolici Ue-Canada, istituito nell’ambito del Ceta, che avrà luogo domani. In agenda c’è la discussione su alcuni ostacoli nei canali di vendita di vini europei oltreoceano. Proprio “le disposizioni incluse nel Ceta – aggiunge Recarte – serviranno a rimediare al trattamento discriminatorio che i vini dell’Ue subiscono nel mercato canadese”. Per ottenere questo risultato, però, l’accordo va “attuato pienamente e il prima possibile”, conclude Recarte.

(fonte: Ansa)

Il Cetaceo

Per questo di fronte all’ostacolo di altre lobby, come quella del grano, del granturco, della soia (e si badi che uso “lobby” in senso neutro, senza ombra di sgradevolezza), il vino ha scelto il Ceta. Come è giusto in una dialettica che prevede una controparte avvantaggiata, i produttori di vino italiano si sentono più tutelati da questo accordo.

Non vedo una rete che potrebbe risultare proficua per entrambi, ma non essendo una materia della quale mi occupo non posso che constatare la discrepanza, prendere atto, e continuare a consumare di preferenza vino delle nostre lande.

Promozione locale

Ho parlato spesso di promozione locale e di necessità di networking, specialmente per le istituzioni artistiche. Nella questione del cibo (del “food”) come si dice in gergo, l’elemento culturale si deve necessariamente integrare con valutazioni sanitarie, ma anche agronomiche ed impreditoriali.

Se la cultura del vino è tutelata, non è detto che sia promossa, sponsorizzata. Alla fine, è un equilibrio delicato, e forse un trattato sovranazionale è soltanto percepito come un pareggio.

 

 

 

Sia una valorizzazione che una ricapitalizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano si stanno rendendo necessarie e stanno avvenendo lentamente. L’ingresso dei privati è recentemente passato alle cronache e naturalmente non mette tutti d’accordo. Sta forse tornando di moda il mecenatismo? Si e no, comunque credo siano importanti nuovi investimenti nei restauri e nella valorizzazione del capitale artistico del nostro paese, in fin dei conti le nostre opere sono numerose ed estremamente preziose. Troppo per essere lasciate deperire.

Questa mattina stavo leggendo un interessante articolo sugli investimenti nell’arte pubblica. Io, come molti credo, sono abituato a concepire l’arte come pubblica e fruibile, tutto ciò che riguarda i finanziamenti e gli investimenti riguardanti questo campo tendo ad associarli a un modo per offrire nuovi servizi alla collettività. L’arte invece ha assunto nel tempo anche un altro significato: quello di mercato. Per fugare ogni dubbio, specifico che non intendo soffermarmi su questo mondo separato dal pubblico interesse, non parlerò di quotazioni, aste, falsi, ma neanche della bontà di un investimento in opere d’arte o di collezionismo.

Il mio ragionamento si è soffermato su un quesito semplice: cosa succede quando un monumento o una importante opera artistica ha bisogno dell’impiego di capitali per un restauro, studio o valorizzazione e questi fondi non si trovano? Se un privato si fa avanti per sopperire questa mancanza di capitali in cambio di visibilità di qualità, è meglio non rendere disponibile l’arte o scendere a compromessi?

Valorizzazione e ricapitalizzazione dell’arte grazie a privati: è davvero un’opportunità?

Esistono fondi privati e imprenditori che mettono a disposizione grandi capitali per il restauro, o la valorizzazione, di alcuni luoghi storico-artistici di grande interesse. A fare più notizia sono stati i “restauri di lusso” messi in opera dalle grandi case di moda, in cambio non solo di visibilità e pubblicità, ma in alcuni casi di un vero e proprio utilizzo privato del bene a cui sono stati destinati i capitali. Probabilmente il caso più celebre è quello che ha riguardato la Fontana di Trevi, restaurata da un’importante casa di moda che ha finanziato i lavori per poi utilizzare la fontana stessa come passerella per una sfilata di grande impatto visivo e mediatico.

L’iniziativa, se mirata a valorizzare il bene pubblico tramite una ricapitalizzazione dei fondi destinati alla tutela del patrimonio artistico, non credo sia da demonizzare, tuttavia credo che l’impatto finale lo potremo valutare soltanto con il passare del tempo. La coscienza artistica che trasmetteremo ai nostri figli e nipoti sarà ciò che farà pendere maggiormente l’ago della bilancia, ricordandoci comunque che il patrimonio artistico dovrà arrivare a loro e alle generazioni successive nelle migliori condizioni possibili.