Mi capita spesso di vedere opere teatrali nelle quali la recitazione ambisce magari al canone teatrale, ma la regia è decisamente cinematografica.
Il grande mattatoio
Invece del grande mattatore, capita spesso di assistere, ahimé non solo in contesti provinciali e dilettantistici, a rappresentazioni indecenti di piéce celebri. La scenografia che non va e tenta attualizzazioni selvagge, i costumi sempre per lo stesso principio o inappropriati o troppo post moderni.
Scivoliamo nella critica solo quando un particolare ci urta a tal punto da mutare la nostra comprensione dell’opera, o al punto da disturbare semplicemente il nostro silenzio catartico. Uno spettatore, un modo di ricezione, non mi ricordo chi lo diceva ma sono sostanzialmente d’accordo. E per quanto sia impossibile incontrare il piacere di ognuno, il bravo regista e il bravo scenografo cercano quantomeno di accodarsi a tendenza di successo, se proprio non sanno cogliere il Volkgeist o la Weltanschaunng.
La regia e la recitazione
Ma la regia, che è il personalissimo tocco poetico di un singolo, può essere influenzata da correnti disparate. Pensiamo anche solo ai canoni stretti della recitazione: nessun attore si metterebbe mai a imbastire una recitazione semi-cantata da tragedia greca. Mai, nemmeno nel teatro più avanguardistico. Se non, forse, in un contesto di sperimentazione, questo lo concedo, ma deve essere dichiarata la fonte di questa stranezza della recitazione cantata, oppure si deve essere in seno a una rievocazione storico-culturale…
E arriviamo alla regia cinematografica
Ed ecco che siamo arrivati: la regia consente margini più ampi, o meglio li consentirebbe. Ma troppo spesso mi trovo di fronte a opere teatrali, magari d’autore, magari opere prime, ma comunque accomunate dalla tendenza agli spazi e ai tempi della regia cinematografica.