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Continuiamo la nostra analisi approssimativa dei trend finanziari in questo momento delicato. Abbiamo visto la scorsa settimana il prezzo del petrolio continuare nella sua oscillazione, causa l’imminente incontro dell’Eurogruppo a riguardo.

Il biomedicale va per la maggiore

Gli investitori, come era presumibile, hanno deciso di credere nelle aziende biomedicali, prima tra tutte la Diasorin. 

Una delle più attive nella realizzazione e sviluppo di test, e in prima linea per le sperimentazioni farmacologiche contro il Coronavirus. C’è anche TechnoGenetics in lizza per diventare la numero uno sul mercato, anche se visto il calo di contagi è più probabile una spartizione del mercato. 

Il fantomatico Mes

Non si fa che parlare in questi giorni del Mes, e le opinioni nell’alta finanza sono che la gran discussione abbia fatto impennare lo spread.

Banche e assicurazioni a Milano si registrano quindi generalmente in calo. Non voglio fare una rassegna giornaliera perché se ne occupa già magistralmente Il Sole24Ore.

Il Mes in due parole

Visto il recente chiacchiericcio sul Mes, penso che sia opportuno spiegare in due parole cos’è il Mes e perché secondo molti è una misura migliore, anche rispetto ai BTP Italia. 

Mes è la sigla di Meccanismo Europeo di Stabilità. Come già il fondo Salva-Stati, è una misura pensata per soccorrere il Pil degli Stati dell’Eurogruppo in questo momento di difficoltà. I titoli vengono emessi con la garanzia degli Stati che fanno parte dell’Eurogruppo. 

L’aiuto è vincolato a un piano di riforme, che è il motivo per cui ha suscitato diversi malumori dalla scena politica. Ma anche, a dirla tutta, dal direttore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

Non entro nei dettagli, basti sapere che il rating del Mes è molto più alto di quello dei nostri titoli di Stato (parliamo di un AAA) e quindi può emettere bond molto più alti per finanziarsi. Inoltre, l’importo che si può richiedere immediatamente è molto più alto.

Vedremo come si evolverà il dibattito politico. 

Gli investitori stanno lentamente riprendendo fiducia, così almeno ci mostra l’inizio di questa settimana pre pasquale. In questo termometro finanziario cercheremo di analizzare cosa significa questa considerazione.

Perché gli investitori si riprendono

Il motivo principale è che sono diminuiti i contagi in molti Paesi del mondo, tra cui l’Italia. 

Ma alcuni eventi influiscono pesantemente sulle Borse. Tra questi, durante la settimana si riunirà l’Eurogruppo che dovrà deliberare sugli Eurobond.

Un ripasso: Eurobond sono le obbligazioni con cui i Paesi Membri dividono il debito. Poi giovedì si terrà la riunione dell’Opec. Qui Arabia Saudita e Russia saranno chiamate a prendere un accordo sulla produzione del petrolio.

Il Brent che sale, lo spread che scende

Il Brent, il petrolio del mare del Nord, stamattina sale.

Un altro fattore importante da considerare è lo spread, che diminuisce. Ciò significa che gli investitori escono dal bund e tornano a investire sui BTP e conseguentemente sui titoli di Stato di Paesi periferici. 

Il dollaro si indebolisce. Di recente ha funzionato un po’ come valuta riugio.

L’oro continua però a salire, non facendoci presagire nulla di buono per quanto riguarda la volatilità dei mercati.

In conclusione

In sostanza, ci sono buone speranze di ripresa, ma non ce ne sono ancora per quanto riguarda la stabilità.

Ci aggiorniamo presto… Agli investitori consiglio: fate scelte oculate, e cercate di non incappare in specchietti per le allodole.

Soprattutto in questo periodo. 

Continua dall’articolo sul Coronavirus e sulle sue implicazioni nell’inconscio collettivo, secondo un professore di storia e storia della medicina dell’Università di Yale:

Si potrebbe parlare di tubercolosi, e di quanto fosse diversa nel periodo romantico, nel XIX secolo. È davvero strano, perché, per me, la tubercolosi è uno dei modi più raccapriccianti e dolorosi di morire, dove, alla fine, si soffoca, eppure, d’altra parte, la si fa glorificare con eroine liriche sul palcoscenico che vengono percepite come belle. Oppure “La capanna dello zio Tom”, che non riguarda solo la schiavitù. Riguarda anche la tubercolosi.

Non sono un luddista [possiamo intenderlo come “complottista”, ndr] per quanto riguarda la scienza, ma le scienze a volte hanno delle conseguenze non gradevoli. Prendiamo la teoria dei germi. La teoria dei germi in realtà ha contribuito a stigmatizzare i poveri. La tubercolosi non era una malattia delle classi belle, ma delle classi brutte che erano sporche e povere. Lì, l’intera interpretazione cambia. Se si guarda a “L’immoralista” di André Gide, all’inizio del ventesimo secolo, egli considera il suo stesso caso di tubercolosi come la cosa più spregevole e disgustosa che possa mai accadere. L’idea di una bella malattia è scomparsa per sempre, e la tubercolosi non lo è più.

[…] Non sono sicuro che sia esattamente divertente, ma penso che la reazione di Napoleone alle malattie che stavano distruggendo il suo governo sia stata tragica e grottesca, in un certo senso di umorismo nero, dove non dà valore alla vita dei suoi soldati. È quindi in grado di parlare dell’arrivo della febbre gialla nelle Indie Occidentali come di un insulto personale.

Credo che questo sia qualcosa che potremmo vedere ancora una volta. È qualcosa di cui forse si può ridere. Forse la storia è meglio vederla come commedia a posteriori, ma non credo che quello che sta per accadere quest’anno a proposito di questa particolare epidemia negli Stati Uniti sarà affatto divertente. Avere funzionari alla Casa Bianca che dicono: “Oh, non è altro che il comune raffreddore, abbiamo tutto sotto controllo”, quando non hanno niente sotto controllo, a quanto vedo, e hanno messo al comando persone che non credono nemmeno nella scienza.

L’articolo è finito. Non volevo dar sfoggio di facile opinionismo, anche perché non ho riportato l’intervista integralmente. Però ci sono degli spunti interessanti che forse vale la pena raccogliere.

In continuazione al mio articolo precedente, collegandomi al discorso Coronavirus: le epidemie hanno avuto alcuni aspetti positivi per quanto riguarda la storia dei diritti umani, ma anche diversi risvolti inquietanti:

Sono convinto che il XIX secolo sia stato un periodo terribile, non solo di ribellione ma anche di oppressione politica. Per esempio, il massacro di persone dopo la rivoluzione del 1848 in Francia, a Parigi in particolare, o dopo la Comune di Parigi. Parte della ragione per cui questo fu così violento e sanguinoso era che le persone che erano al comando vedevano le classi lavoratrici come pericolose dal punto di vista non solo politico, ma anche sanitario.

[…] In questo caso, a Wuhan, una città di circa undici milioni di abitanti, e poi nella provincia di Hubei, che conta quasi sessanta milioni di persone, hanno deciso di imporre un blocco.

È una cosa che rimanda a misure messe in atto durante la peste e che si è ripetuta più e più volte, anche nell’epidemia di Ebola. Il problema del cordone sanitario è che è maldestro, come un martello. Arriva troppo tardi e rompe quell’elemento fondamentale della salute pubblica che è l’informazione. Vale a dire che, minacciata dall’isolamento, la gente smette di collaborare con le autorità.

[…]il regime ha cominciato lentamente a cambiare rotta. Si vede che, col passare del tempo, i cinesi sono stati molto diligenti nel raccogliere i documenti, cercando di suscitare la cooperazione della popolazione, in un certo senso per riparare i danni dei primi tempi. 

Da questa parte in poi l’articolo si concentra sulla risposta che gli artisti hanno dato alla “peste”. Intendendo anche le risposte artistiche dei singoli. Diciamo, più in generale, le visioni creative che l’epidemia ha suscitato.

Ne parleremo nel prossimo post. Anticipo intanto che non parleremo più di Manzoni. Se mai qualche mio lettore ne fosse appassionato…

Continuo dal mio articolo precedente, collegandomi al discorso Coronavirus e a quanto le epidemie facciano spesso emergere i più reconditi e inconsci sentimenti di una collettività.

Quando Bruce Aylward, che ha guidato la missione dell’OMS in Cina, alla fine è tornato a Ginevra, ha detto che la cosa più importante che deve accadere, se vogliamo essere preparati ora e in futuro, è che ci deve essere un cambiamento assolutamente fondamentale nella nostra mentalità. Dobbiamo pensare che dobbiamo lavorare insieme come specie umana per essere organizzati per prenderci cura l’uno dell’altro, per renderci conto che la salute delle persone più vulnerabili tra noi è un fattore determinante per la salute di tutti noi, e, se non siamo preparati a farlo, non saremo mai e poi mai pronti ad affrontare queste sfide devastanti per la nostra umanità.

Beh, è un pensiero molto triste, se posso dirlo, perché penso che sia improbabile che si verifichi un tale cambiamento di mentalità.

[…] Credo che questo sia qualcosa che fa emergere anche le più alte qualità. In effetti, si scrivono anche romanzi su questi grandi eventi. Influisce sulla nostra letteratura e sulla nostra cultura. Penso al grande romanzo sulla peste, che è “I Promessi Sposi”, del romanziere italiano Alessandro Manzoni. Parla dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Borromeo, che entrò nelle case dei parassiti e fu disposto a sacrificare la sua vita per prendersi cura dei più poveri e dei più malati del suo gregge.

[…]

il successo della ribellione haitiana e di Toussaint Louverture è stato determinato soprattutto dalla febbre gialla. Quando Napoleone inviò la grande armata per ripristinare la schiavitù ad Haiti, la ribellione degli schiavi ebbe successo perché gli schiavi africani avevano l’immunità che gli europei bianchi che erano nell’esercito di Napoleone non avevano. Questo portò all’indipendenza haitiana. Anche, se si pensa dal punto di vista americano, fu questo che portò alla decisione di Napoleone di abbandonare la proiezione del potere francese nel Nuovo Mondo e quindi di accordarsi, con Thomas Jefferson, nel 1803, con l’Acquisto della Louisiana, che raddoppiò le dimensioni degli Stati Uniti.

(Continua)

 

Apro questa parentesi perché Art Dubai ha annunciato proprio in questi giorni che rinvierà l’esibizione, per quest’anno. La causa, ovviamente, il Coronavirus.

La 14ª edizione della fiera internazionale dell’arte, in programma dal 25 al 28 marzo 2020, ha quindi deciso di fermarsi e valutare quando sarà un momento più propizio per ripartire.

Arco Madrid

Non si ferma invece Arco Madrid, che è riuscita a inaugurare la scorsa settimana.

Altre mostre d’arte in Europa e USA

Oltre a Arco, abbiamo il 5 marzo Tefaf a Maastricht. Riportano gli organizzatori:

 Le misure che Tefaf sta prendendo per fornire un ambiente sicuro a tutti gli espositori, i visitatori e al nostro staff, tra queste servizi precauzionali, come servizi di pulizia aggiuntivi per tutto il giorno e la distribuzione e il posizionamento di disinfettanti per le mani in fiera. (Fonte: Il Sole 24 Ore)

Per  The Armory Show (Piers 90 e 94) le anteprime VIP iniziano già il 4 marzo. Invece ADAA Art Show è già in corso. 

Altre fiere il cui futuro è incerto sono: PAD Paris Art + Design (1-5 aprile), Paris Photo New York (2-5 aprile), P rinted Matter L.A. Art Book Fair (3-5 aprile), Art Brussels (23-26 aprile), Affordable Art Fair , che ha in programma edizioni consecutive a Bruxelles (20-22 marzo) e New York (26-29 marzo) e Tbilisi Art Fair (14-17 maggio).

Il destino già scritto di Miart

È triste quando un evento del genere si prospetta all’orizzonte, ma con Milano in quarantena e i voli dagli States quasi interamente bloccati, la prossima edizione di miart è molto probabilmente saltata.

La fiera era in programma dal 17 al 19 aprile.

Invece il Salone del Mobile è già confermato dal 16 al 21 giugno 2020.

Si attende una nuova data anche per la prima mostra “soppressa” sull’onda dell’epidemia, MIA Photo Fair, che si sarebbe dovuta tenere dal 19 al 22 marzo.

Coronavirus: un danno economico non indifferente

Una considerazione ridondante, forse… Ma il danno economico che questo Coronavirus sta generando nell’indotto turistico e artistico italiano non andrà sottovalutato. Ho paura che gli scenari che si apriranno in futuro non saranno per nulla positivi, per quella fetta del nostro PIL che vive degli spostamenti della gente.

Ho trovato un articolo interessante sul New Yorker, che parla di come le epidemie nel corso della storia abbiano modificato il sentire della gente. Non ho potuto non riferirlo ai recenti fatti da Coronavirus.

Senza pretese accademiche ho provato a tradurne alcuni brani che ho trovato più interessanti.

Il libro di cui parliamo è “Epidemie e società: Dalla peste nera al presente”, di Frank M. Snowden, professore a Yale di storia e storia della medicina. In sostanza, lo studioso ripercorre gli effetti negativi che le epidemie hanno avuto nell’indirizzare le peggiori discriminazioni contro fasce sociali già non certo privilegiate. Vediamo:

Le malattie epidemiche non sono eventi casuali che affliggono le società in modo capriccioso e senza preavviso. Al contrario, ogni società produce le proprie specifiche vulnerabilità. Studiarle significa comprendere la struttura della società, il suo tenore di vita e le sue priorità politiche.

[…]

Le epidemie hanno a che fare con il nostro rapporto con la nostra mortalità, con la morte, con la nostra vita. Riflettono anche le nostre relazioni con l’ambiente, lo spazio che ci costruiamo attorno e l’ambiente naturale che risponde ai nostri stimoli. Mostrano le relazioni morali che abbiamo l’uno verso l’altro come persone.

[…]

Lo scoppio della peste, per esempio, ha sollevato l’intera questione del rapporto dell’uomo con Dio. Come è possibile che un evento di questo tipo possa accadere con una divinità onnisciente e che desidera il bene? Chi permetterebbe che i bambini siano torturati, così orribilmente in così tanti? La peste ha anche avuto un effetto enorme sull’economia. La peste bubbonica uccise metà della popolazione vivente e, quindi, ebbe un effetto enorme sull’avvento della rivoluzione industriale, sulla schiavitù e sulla servitù. Anche le epidemie, come stiamo vedendo ora, hanno effetti tremendi sulla stabilità sociale e politica. Hanno determinato gli esiti delle guerre, e a volte possono anche essere la causa dell’inizio di guerre.

(continua)

La notizia è che People’s Bank of China ha tagliato il tasso repo sui suoi prestiti a medio termine (MLF), che passano dal 3,25% al 3,15%.

L’obiettivo è chiaramente quello di incoraggiare la ripresa economica in seguito agli effetti allarmanti del Coronavirus.

La ripresa della Borsa cinese, nonostante tutto

I mercati finanziari si stanno comportando però in modo da non combaciare con la produzione. Lo yen si apprezza con il dollaro a 109,80, e a 119 sull’euro, mentre Shanghai ha un rialzo del +2,3%, Shenzhen del +3,2%, Hong Kong del +0,5%.

È comprensibile la preoccupazione per la diffusione del Coronavirus, anche se a frenare gli investitori sono perlopiù le politiche messe in atto. Più che la reale natura dell’epidemia, se così possiamo chiamarla.

Si parla di circa 100 miliardi di yuan re-iniettati nel mercato dalla Banca Centrale. Segno che la preoccupazione è tangibile.

Lottando per migliorare la liquidità del mercato

Il 15 febbraio il Vice Presidente della PBOC, Fan Yi Fei ha detto che la People’s Bank of China si sforzerà di migliorare la liquidità del mercato.

Ribadendo tra le righe che la liquidità del mercato necessiti di un miglioramento. Di per sé un passo in avanti rispetto alle continue negazioni del problema a cui siamo andati assistendo nei primi momenti di psicosi da Coronavirus.

Proprio oggi il capo analista della China Minsheng Bank, Wen Bin, ha dichiarato che la mossa della banca centrale di diminuzione del tasso di MLF preannuncia anche la diminuzione del Loan Prime Rate in futuro.

Prospettive future

Difficile fare speculazioni, ma che l’economia cinese sia in crisi non è per nulla una buona notizia. Le aziende italiane con fornitori cinesi stanno impazzendo per trovare fornitori alternativi.

Significa molto questa piccola crisi per ridisegnare gli equilibri globali. La speranza che tutti hanno è che l’epidemia non si espanda.

Ma soprattutto, che la Cina non ci trascini in una crisi come quella del 2008, dalla quale ci eravamo giusto ripresi.

Teniamo d’occhio il prezzo del petrolio.

Il colore di quest’anno è quello della satira sociale.

Così ha deciso l’intellighenzia oscarese, conferendo al coreano “Parasite” ben 4 statuette. Dimenticando colpevolmente Scorsese e il suo capolavoro “The Irish Man”.

Il messaggio culturale è stato chiaro. Anche se non dobbiamo considerare la categoria di “miglior film” come quella più rappresentativa, non possiamo negare che la tendenza di questi premi Oscar sia stata la premiazione della satira sociale.

E sia, ogni tanto il lato europeo degli Stati Uniti si fa sentire, e decidono che un bel film straniero merita il titolo di miglior film.

Questa decisione, non dimentichiamocelo, farà la storia, perché è la prima volta che succede dopo “The Artist”, che però era un film muto.

Invece il capolavoro a mio parere ben più holliwoodiano, ben più rappresentativo della loro storia cinematografica, è stato completamente ignorato.

The Irish Man, lasciamolo in soffitta perché è un capolavoro, da parte di un regista pluripremiato, troppo americano per attagliarsi al filo sociale di questi Oscar.

Peccato per un film, che a mio parere è stato davvero un capolavoro. Anche se non mi considero un amante vero e proprio del genere, la costruzione, l’ingaggio del pubblico, il finale non chiuso, senza lieto fine… La superba recitazione degli attori, densa di understatement, il realismo della scenografia e della fotografia… Il film è lungo, ma non ho sentito la differenza rispetto alla ora e mezza standard del film americano.

Penso che un senso di immersione come quello che mi ha dato questo film, non lo provassi dall’adolescenza.

Un vero peccato che “The Irish man” non abbia vinto proprio nulla.

Io confido che i dizionari del cinema e la critica lo innalzeranno dove le alternanze di mode sociali non l’hanno portato.

Intanto io mi sono goduto un buon film.

Ricordo pochi casi di simile interesse mediatico per un ritrovamento di quadro.

Il Klimt disperso

Sì, stiamo parlando dello stesso Klimt ritrovato il 22 dicembre 2019 e da pochi giorni riconosciuto come Klimt autentico. La galleria Ricci Oddi di Piacenza, coadiuvata dalla locale Polizia, ha eseguito gli accertamenti necessari e ora la paternità del dipinto è conclamata: è davvero un Klimt.

Le confessioni

Tra le varie petizioni di fama che l’essere umano mette in atto, la confessione di furto è quella che mi sconcerta di più. Questi due sessantenni che sembrano aver commesso il furto del “Ritratto di signora” del Klimt non mi sembrano totalmente credibili. 

Il furto non sembra essere una novità per loro, visto che si sono beccati  sette anni uno, e l’altro 4 anni e 8 mesi per furto precedente di quadri, in diversi locali pubblici e privati. La condanna è della Cassazione, quindi definitiva.

Ma perché la restituzione?

In sostanza, i due avrebbero non avendo più nulla da perdere, e avrebbero avanzato la confessione per amore nei confronti della propria città (Piacenza).

La confessione è ovviamente al vaglio degli inquirenti, anche perché il rischio dell’autoproclamazione a fin di fama è sempre in agguato. 

Riportato a casa

Immaginate, la lotta contro le proprie coscienze, il patriottismo che sale.

I due dicono di aver addirittura fatto in modo che il dipinto ritornasse nella città di origine. Un campanilismo anti-economico forse dovuto all’imminente condanna, alla fine dei propri anni, al sentimentalismo indotto dalla vecchiaia.

Come vorrei aver trovato una moneta medievale in qualche zone di frontiera italica, averla abusivamente conservata a scapito della Soprintendenza. Di modo da poter, ora, autoproclamarmi pericoloso ladro di monete, ricevendo magari il plauso collettivo.

I due signori forse non hanno capito che il momento di Nemico pubblico, Diabolik, Bonnie e Clyde, è finito. Magari tornerà.