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Sia una valorizzazione che una ricapitalizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano si stanno rendendo necessarie e stanno avvenendo lentamente. L’ingresso dei privati è recentemente passato alle cronache e naturalmente non mette tutti d’accordo. Sta forse tornando di moda il mecenatismo? Si e no, comunque credo siano importanti nuovi investimenti nei restauri e nella valorizzazione del capitale artistico del nostro paese, in fin dei conti le nostre opere sono numerose ed estremamente preziose. Troppo per essere lasciate deperire.

Questa mattina stavo leggendo un interessante articolo sugli investimenti nell’arte pubblica. Io, come molti credo, sono abituato a concepire l’arte come pubblica e fruibile, tutto ciò che riguarda i finanziamenti e gli investimenti riguardanti questo campo tendo ad associarli a un modo per offrire nuovi servizi alla collettività. L’arte invece ha assunto nel tempo anche un altro significato: quello di mercato. Per fugare ogni dubbio, specifico che non intendo soffermarmi su questo mondo separato dal pubblico interesse, non parlerò di quotazioni, aste, falsi, ma neanche della bontà di un investimento in opere d’arte o di collezionismo.

Il mio ragionamento si è soffermato su un quesito semplice: cosa succede quando un monumento o una importante opera artistica ha bisogno dell’impiego di capitali per un restauro, studio o valorizzazione e questi fondi non si trovano? Se un privato si fa avanti per sopperire questa mancanza di capitali in cambio di visibilità di qualità, è meglio non rendere disponibile l’arte o scendere a compromessi?

Valorizzazione e ricapitalizzazione dell’arte grazie a privati: è davvero un’opportunità?

Esistono fondi privati e imprenditori che mettono a disposizione grandi capitali per il restauro, o la valorizzazione, di alcuni luoghi storico-artistici di grande interesse. A fare più notizia sono stati i “restauri di lusso” messi in opera dalle grandi case di moda, in cambio non solo di visibilità e pubblicità, ma in alcuni casi di un vero e proprio utilizzo privato del bene a cui sono stati destinati i capitali. Probabilmente il caso più celebre è quello che ha riguardato la Fontana di Trevi, restaurata da un’importante casa di moda che ha finanziato i lavori per poi utilizzare la fontana stessa come passerella per una sfilata di grande impatto visivo e mediatico.

L’iniziativa, se mirata a valorizzare il bene pubblico tramite una ricapitalizzazione dei fondi destinati alla tutela del patrimonio artistico, non credo sia da demonizzare, tuttavia credo che l’impatto finale lo potremo valutare soltanto con il passare del tempo. La coscienza artistica che trasmetteremo ai nostri figli e nipoti sarà ciò che farà pendere maggiormente l’ago della bilancia, ricordandoci comunque che il patrimonio artistico dovrà arrivare a loro e alle generazioni successive nelle migliori condizioni possibili.

Un reato fra i più subdoli che si possano compiere ai danni della nostra cultura e del bene comune, credo sia indubbiamente il vandalismo.

La miopia che sottintende è un vero e proprio delitto nei confronti dei nostri nipoti, dovremmo conservare e rendere fruibile per loro un patrimonio artistico e culturale maggiore di quello oggi a nostra disposizione.

Ho in mente un esempio che mi ha fatto riflettere. Ricordate quanto compiuto dal turista australiano nei confronti della Pietà di Michelangelo? Quindici martellate, il braccio sinistro della Vergine staccato, il volto danneggiato nel naso e le palpebre in frantumi. Fortunatamente il danno era rimediabile, tuttavia perché colpire un capolavoro simile?

Eppure questo reato, deve farci pensare, deve farci capire che colpisce tutti noi, non possiamo esserne indifferenti. Come già ho approfondito in un articolo precedente sta a noi tutelare il nostro patrimonio artistico e culturale. Deve prima di tutto diventare un valore civile: quello che trasmetteremo ai posteri è oggi sotto la nostra responsabilità.

L’episodio che ho prima riportato alla memoria non è purtroppo l’unico che ha coinvolto le nostre opere d’arte. Tra gli episodi più tristemente famosi ricordo con dispiacere le dita scheggiate del David di Michelangelo, la deturpazione de Il trasporto del corpo di san Cristoforo del Mantegna. Nella recente storia possiamo invece ben ricordarci i danni provocati da diversi turisti al Colosseo, o alla Barcaccia del Bernini.

Reato, quello del vandalismo, che ci priva di patrimoni importanti

Purtroppo i danni non si fermano a quelli che possiamo vedere, spesso chi non rispetta l’arte decide di volersi portare a casa come souvenir “pezzi” di mattoni, pavimenti o muri. C’è chi addirittura si reca presso scavi archeologici munito di metaldetector o dotazioni simili, per poter rintracciare reperti di valore e rubarli.

Dobbiamo proteggere la nostra arte, per noi, per chi verrà e per ciò che rappresenta.

Il falso può essere un’opportunità? Spesso sentiamo i critici e gli storici d’arte discutere su quanto si possano definire capolavori d’autore le opere andate quasi totalmente perdute e poi restaurate. Sono quindi un falso, poiché ricostruite con colori e materiali non più originali o sono da considerarsi opere d’autore, poiché nella forma rispettano esattamente il disegno dell’originale? Un dibattito interessante che porta con sé molte domande.

Purtroppo queste domande emergono spesso dopo tragedie come terremoti che portano devastazione in tutti gli ambiti. Se pensiamo alla chiesa di Assisi, capolavoro assoluto dell’arte che ha rischiato di andare perduto per sempre con il terremoto che ha distrutto la chiesa, ma anche all’Ultima cena di Leonardo che, a causa dell’incompatibilità della tecnica utilizzata dal Maestro con l’umidità presente nel muro, cominciò fin da subito a degradarsi. Gli esempi sono tantissimi, che si tratti di quadri, manoscritti o sempre di libri, affreschi, monumenti o arazzi, il degrado di un opera, per i vari motivi, può portare alla sua totale perdita. Per questo può essere disposto un arresto alla fruizione di tali opere, ma questo è un altro discorso.

Il falso come può quindi rivelarsi un’opportunità?

Dopo una grande perdita o una grave mutilazione di un’opera, se vi è la possibilità di ricostruire il più fedelmente possibile, seguendo le indicazioni dell’autore, leggendone le sue linee guida e studiando il suo pensiero, ebbene, questo può permetterci di emozionarci ancora davanti a ciò che altrimenti sarebbe stato perduto per sempre.

Certo le tecniche moderne e all’avanguardia permettono la ricostruzione estetica fedele dell’opera, ma a volte vengono utilizzati materiali differenti per permettere una migliore resistenza ad altri eventi sismici, per evitarne crepe e cedimenti. Mi chiedo tuttavia chi sarebbe disposto a rinunciare alle opere più belle del mondo solo perché non più totalmente originali?

Il tempo è un nemico inesorabile per la conservazione, ma dobbiamo imparare a conviverci e a valorizzare ciò che abbiamo. Alcune opere mantengono un senso simbolico importante anche se danneggiate dal tempo, ma se sono state danneggiate recentemente e abbiamo la certezza di come fossero nella loro completezza, allora trovo che possano essere almeno parzialmente ricostruite, senza ingannare il fruitore, ovviamente.

L’importante in fondo è emozionarsi davanti a queste opere così importanti, appassionarsi e poterle vivere, che esse siano sopravvissute integre al tempo o no.

 

La vigilanza in araldica viene rappresentata da una gru che rimane sollevata con la sola zampa sinistra, mentre con quella destra stringe un sasso. Tra le figure araldiche quella della gru è forse tra le meno popolari, ma la sua storia mi è sembrata da sempre così emblematica della realtà. Nel caso la gru dovesse addormentarsi e lasciarsi sfuggire il sasso, il rumore che questo produrrebbe cadendo la sveglierebbe, da qui la rappresentazione della vigilanza. Banalmente semplice no? Eppure come non notare la realtà di questa rappresentazione.

Spesso siamo così legati a quello che abbiamo, lottiamo molto per ottenere quello che desideriamo, sia che si tratti dell’ambito della conoscenza, della carriera o della famiglia. Quante volte però terminata la fatica della lotta e il compiacimento successivo ci dimentichiamo di quello che abbiamo conquistato? Quante volte come la gru ci addormentiamo lasciandoci sfuggire quello che così duramente avevamo raccolto? Troppe volte diamo per scontato quello che ci circonda, ma è umano.

Tra le tante cose che non dobbiamo dare per scontato tuttavia c’è la nostra conoscenza e quella dei nostri figli. Mi sono imbattuto nel fatto che ormai più di del 60% degli italiani non leggono nemmeno un libro durante l’anno e che, come immaginabile, i figli che non vedono i genitori leggere sono più propensi a non prendere in considerazione questa attività.

Certo è comprensibile che con i ritmi della vita di oggi si faccia davvero fatica  a ritagliarsi un attimo di tempo, di spazio, per sedersi comodi e leggere un buon libro. Spesso si rincasa tardi, stanchi e con ancora mille cosa da fare. Chi è genitore poi lo sa, non si vede l’ora di tornare ad abbracciare i propri figli, raccontarsi a vicenda le proprie giornate. Isolarsi dietro a delle pagine è un vero peccato.

Vigilanza nell’educazione o passatempi insieme?

Non credo che una cosa debba per forza escludere l’altra. Sarebbe bello però riuscire a dedicare una serata in cui invece di guardarsi un film, si legge un libro, anche tutti insieme. Educare le nostre generazioni a quel patrimonio infinito che è la cultura, servirà anche a farle crescere come persone e innalzare il loro valore a livello di capitale umano per il lavoro futuro. Abituarli al tatto del libro, a sfogliarlo, respiralo, a viverlo non soltanto come imposizione scolastica ma facendogli capire che può essere un vero piacere. I libri non sono solo contenitori noiosi, ma opportunità per condividere un’avventura o un viaggio insieme.

Non dimentichiamoci di leggere, non dimentichiamoci di insegnare a leggere, non lasciamoci svegliare come la gru dal sasso ormai caduto.

Dopo una battuta di arresto durata anni, c’è ancora futuro per il vinile?
Devo doverosamente fare una premessa: parlo esclusivamente di ascolto musicale per appassionati, nulla a che fare con investimenti e sviluppo economico del vinile. Nel corso della mia vita ho ascoltato musica in tutti i modi disponibili, dalle gracchianti radio di metà 900, fino agli smartphone con app dedicate e YouTube. Anche per questo negli ultimi anni il mercato del vinile ha subito una battuta di arresto, causa principale è la creazione di nuovi supporti per ascoltare musica, sempre più pratici e alla ricerca del suono perfetto. Dalla musicassetta al CD, per arrivare ai file mp3, il modo di fruire la musica ha subito una vera rivoluzione, non solo sonora ma anche fisica. Con i nuovi supporti digitali non si possiede più fisicamente qualcosa, non si ha la bramosia di sfogliare i testi e le foto presenti all’interno della copertina. Si guadagna in praticità, certamente, ma anche interagire con il supporto credo sia un modo importante per approcciarsi alla musica.
Sicuramente il suono è andato migliorando e ricercando una perfezione che forse nel passato non era possibile, ma non è sempre un lato positivo. Il vinile con il suo suono morbido risulta unico e sempre diverso ad ogni ascolto, ogni granello di polvere presente sul disco rende diverso ogni ascolto.

Battuta di arresto superata dall’unicità della “user experience”?

Sicuramente dopo un periodo in cui l’ascolto di dischi in vinile era riservato ai collezionisti, ora il mercato sembra avere nuove richieste e proposte. L’estesa disponibilità economica dei possibili consumatori e l’estesa disponibilità logistica dei venditori, hanno ampliato le possibilità di fruizione. L’esperienza unica d’ascolto ha fatto il resto.

In questo rinnovato fervore collocherei il Vinile Expo di Novegro, poco fuori dalla Milano dell’arte e dell’economia, che accoglie numerosi stand sia italiani che stranieri per la vendita e l’esposizione di dischi da collezione. Ben vengano inoltre le nuove proposte tecnologiche per un ascolto anche senza giradischi, per chi vuole più comodità ma senza rinunciare al gusto retrò.
Da semplice fruitore della musica, sono comunque felice di questa riscoperta del suono d’altri tempi, che non è come quello odierno, definibile quasi usa e getta, ma nasce dal rispetto di ogni sua singola parte.
Certo, questa riscoperta potrebbe anche essere una moda passeggera, ma credo che il gesto di posizionare la puntina sul solco giusto e far partire un disco di vinile, generi comunque un valore esperienziale eccezionale. Magari nostalgico nei più anziani ed esplorativo nei più giovani, in ogni caso da provare, in silenzio.

Come favorire il processo formativo? Nonostante ami molto la lettura, trovo che una soluzione possa arrivare dall’apprendimento dinamico ed esperienziale. Mi sono posto questa domande leggendo una notizia riguardante il Natural History Museum di Londra.

Dippy, la celebre riproduzione in gesso dello scheletro di un dinosauro scoperto negli Stati Uniti, partirà per un tour di due anni che toccherà i più importanti musei della Gran Bretagna. Al posto del grande Diplodocide sarà successivamente collocato lo scheletro reale di una balena azzurra, per denunciare l’impatto dell’uomo sulla natura.

Per ogni frequentatore del museo Dippy era una presenza familiare. Ripensandoci, anch’io ogni volta venivo accolto dalla sua mole imponente e ogni volta mi faceva rendere immediatamente conto di quanto la natura fosse potente e capace di creare cose straordinarie.

Una riproduzione in gesso come può contribuire al processo formativo?

Semplicemente mettendo a disposizione la sua presenza per stupire i più piccoli, che spesso per la prima volta si trovano tu per tu con le nozioni imparate sui libri, che troppo spesso rimangono solo cartacee. Credo sia fondamentale la curiosità per crescere, per avere voglia di sapere, per non fermarsi alla conoscenza superficiale. Cosa ci può essere di più stupefacente e magico per un bambino dell’essere messo dinnanzi ad un dinosauro di 21 metri che prima poteva solo immaginare? Quella maestosità, quello stupore lo spingerà a volerne sapere di più. Allora ben vengano musei, apprendimenti dinamici e nella natura, che mettono direttamente a contatto le nostre nuove generazioni con la conoscenza. La possono vedere, toccare, sperimentare, appassionandosi inevitabilmente.

Questo tuttavia non vale solo per i più piccoli. Tutti noi abbiamo bisogno di riscoprirci curiosi, di riprovare forti sentimenti davanti alla conoscenza, così che un dipinto non rimanga solo un quadro, un libro solo carta e una lezione solo una nozione astratta di passaggio. Avvicinarvi alle forme di espressione artistica e culturale a voi più congeniali sarà sicuramente un buon inizio, poi in caso siate di passaggio in uno dei musei inglesi in cui verrà esposto il grande Diplodocide nei prossimi due anni, magari fategli una visita.

Le mie lunghe indagini giovanili sulle evoluzioni del pensiero, sulla società in mutamento e sui cambiamenti mondiali, sono passate da Parigi e dal suo spirito artistico.

Viaggiare fra i riferimenti accademici più tradizionali e le sperimentazioni più coraggiose, sono elementi della crescita di uno studioso, come di un artista.

In questo percorso la Capitale francese che ho conosciuto si è rivelata una vera Capitale culturale. Un prospetto impegnativo per una città, che può confondere chi vi passa attraverso, ma che premia chi riesce a scovarne il vero valore. La ricerca procede sempre fra alti e bassi, passa rapidamente dalle strade affollate dal falso talento, incapace di portare a compimento il prospetto iniziale di un grande capolavoro, fino ai vicoli in cui il valore artistico è talmente alto, da giustificare tutto il resto.

A Parigi quest’atmosfera introspettiva arriva nel momento in cui sentiamo l’Estate alle spalle e l’Inverno alle porte. Quando i nostri meccanismi di difesa sono già attivi, pronti a proteggerci dalla rigidità del clima e delle idee. Quando i modi di esprimersi tendono a congelarsi, ecco, in quel preciso momento arriva Le Festival d’Automne in tutto il suo splendore artistico.

A fine Estate, Parigi rinasce come Capitale culturale

Il Festival d’Autunno nel mio immaginario personale è intimamente collegato a Parigi e dà un senso perfetto all’appellativo Ville Lumiere. Girare a piedi fra le vie storiche, illuminate e arricchite dalle atmosfere autunnali è emozionante. Spesso mi sono trovato a iniziare le giornate con un sole alto e luminoso, che al pomeriggio aveva già lasciato spazio a pioggia e freddo pungente, una caratteristica dell’Autunno parigino, ma anche una perfetta metafora della variabilità delle performance di artisti affermati ed emergenti che riempiono tutta la città.

È una manifestazione multidisciplinare che sa fondersi e confondersi con il contesto. Dagli spettacoli teatrali all’Opéra, dalla pittura alla scultura, tutto partecipa allo spettacolo della Ville Lumiere e si amalgama con la sua società. Un piacevole appuntamento per chi riuscirà a vivere l’edizione di quest’anno, ma anche la conferma di un ottimo prospetto, sperando che si possa continuare eccellentemente anche negli anni a venire.

Tutto questo è ben fissato nei miei ricordi e auguro che possa far parte anche di quelli dei turisti e dei giovani che transiteranno in questo splendido baluardo della cultura in un prossimo futuro, continuando a rendere le arti visibili e accessibili a tutti.

Un’altra capitale in cui sono stato innumerevoli volte: Londra.

Nel mio viaggiar giovanile, dopo l’università, ho continuato a studiare, esplorare e allargare il mio campo d’azione e conoscenza. Ho visto crescere la City che oggi conosciamo, mi sono fermato alla London School of Economics, di cui ho parlato in una recente intervista, ma non solo. Oltre alla grande apertura verso finanza, investimenti e sviluppo, nella Capitale inglese ho trovato anche un grande fermento artistico.

Leggere oggi dell’inaugurazione della prima London Design Biennale, mi ha ricordato le avanguardie che ho visto qui alla fine degli anni 70. Anche il tema dell’evento mi affascina, forse perché richiama i miei studi sociologici. Si tratta dell’utopia, trattata dal punto di vista del design, in omaggio ai 500 anni dalla pubblicazione di uno scritto cinquecentesco: L’Utopia, di Thomas More. Un romanzo, un magnifico romanzo, che ha dato i natali al neologismo utopia, un termine meraviglioso e allo stesso tempo ricco di malinconia. L’impossibilità di raggiungere un ideale tanto reale, quanto visionario.

Un termine necessario nel nostro vocabolario, voluto con grande ambiguità e critica sociale dal suo autore. More parlando dell’Isola di Utopia, parlava dell’Inghilterra dei Tudor e di un modello politico, economico e sociale astratto, isolato e concentrico. La visione di un mondo nuovo, una meta irreale, che i designer di oltre 30 Nazioni hanno re-interpretato e stanno mostrando in tutta Londra con numerose installazioni e opere.

L’interpretazione è calata nella prospettiva odierna ovviamente, con grande attenzione ai temi più sentiti in tutte le metropoli, non solo sulle sponde del Tamigi. Le installazioni parlano di sostenibilità, migrazioni, inquinamento, energia, equità sociale e delle città stesse.

Una settembrina Capitale del Design

Trovo davvero pregevole lo spunto lanciato dagli ideatori della Biennale londinese. Il loro evento, non a caso, incrocia come tempi e luoghi il London Design Festival, che già da solo costituiva un notevole capitale di idee e visioni del mondo estremamente dinamiche.

In ogni caso, oltre all’interessantissima ricerca delle emozioni nei materiali e nelle forme, la revisione degli spazi a cui hanno dato vita questi due eventi, ci ha condotti a una grande esposizione temporanea capace di avvolgere idealmente e fisicamente la Capitale della finanza nel nostro Vecchio Continente.

Una metafora del mondo odierno, preda di un incessante sviluppo.

Mentre le persone proseguono con la loro vita frenetica, la creatività artistica procede per la sua strada. Una strada parallela, veloce, emotiva e perché no, anche spirituale, che mi fa riflettere su come non sia importante dove siete arrivati e di cosa siete presidenti: l’esplorazione giovanile non finisce mai.

Nella mia vita ho avuto modo di viaggiare, conoscere molte persone, studiare e vedere il mondo da prospettive diverse. Tutto il percorso è ciò che mi ha portato da essere il giovane Paolo Giorgio Bassi, studente all’Università di Trento nel lontano 1968, alla persona che oggi conoscete. Attribuisco alla curiosità un grande merito e sono convinto che fare un investimento nella propria curiosità sia fondamentale per crescere come persone. Spesso però la nostra prospettiva non è completa ed emerge la necessità di ampliarla, per scoprire campi nuovi verso cui direzionarla.

Questo è ciò che fa l’arte.

L’arte ha un ruolo umano e sociale innegabile: può aiutare gli uomini e le donne a provare sensazioni e sentimenti per quello che non comprendono e non conoscono, allargando i loro orizzonti.

L’indagine sulle diverse percezioni è fondamentale nello sviluppo della sperimentazione artistica, sia attraverso i suoni, che tramite le immagini. Questo ruolo è importante soprattutto se ci accompagna all’indagine di percezioni lontane dalla nostra quotidianità.

Avete mai ascoltato musica completamente al buio? È solo una delle prospettive di cui parlo: quella di un cieco. L’arte vissuta dalla prospettiva di chi è diversamente abile ci mette nella condizione di concentrarci solo su alcuni sensi, una cosa che non sembra difficile, ma lo è enormemente. Questa forma di espressione stava cercando il suo spazio e l’ha trovato a Milano, proprio negli stessi giorni dei Giochi Paralimpici di Rio de Janeiro. Un tempismo perfetto per inaugurare #ètuttodiverso, il primo festival dedicato ad arte e disabilità.

È durato solo un giorno, ma ha già fatto molto. Dai concerti accompagnati da fragranze pensate appositamente per le esibizioni dal vivo, fino alla percezione dei quadri senza poterli vedere. Un evento del genere si dovrà ripetere, spero in molti altri luoghi della nostra meravigliosa Italia, non solo per l’utilità in termini di beneficenza, ma per dare la possibilità a più persone possibili di mettersi nei panni degli altri e allargare il proprio punto di vista.

Un’esperienza per cui vale la pena fare un investimento di tempo e di cuore.

Come si legge nelle stazioni di servizio lungo le nostre autostrade, siamo in un Paese meraviglioso. Abbiamo un patrimonio artistico, culturale ed enogastronomico, tutto da invidiare e che potrebbe essere ulteriormente valorizzato per diventare una importante leva per lo sviluppo del territorio. Secondo i dati raccolti e analizzati da PwC il turismo in Italia incide per il 13% sul PIL nazionale, con un contributo economico di 185mld. Ogni anno sono 53 milioni le persone che scelgono di visitare il Bel Paese: un flusso turistico che rappresenta il 4% del totale.

Il patrimonio culturale lombardo e milanese

La Lombardia, insieme al Veneto, al Lazio e al Trentino, è tra le regioni che valorizzano maggiormente i propri siti culturali. Dato ottenuto confrontando il numero di siti turistici (musei, monumenti e siti archeologici, considerati dall’ISTAT) e il numero di arrivi turistici per regione. Per un appassionato di arte come me, questo dato non può che fare piacere. Come fanno piacere le tante iniziative atte a valorizzare il nostro patrimonio artistico e culturale che hanno come palcoscenico la mia Milano.

Proprio in questa settimana, ad esempio, il Mico (Milano Centro Congressi) ospiterà la 24esima Conferenza Generale dei Musei, organizzata da Icom Italia, in collaborazione con Regione Lombardia e Intesa San Paolo. Fino al 9 luglio si alterneranno tavole rotonde e convegni, a cui parteciperanno i direttori dei più importanti musei del mondo, ma anche iniziative culturali, laboratori didattici e incontri interdisciplinari aperti anche ai cittadini. Inoltre, con questa occasione, molti musei di Milano organizzano in queste giornate aperture straordinarie e con ingresso libero. Vale la pena prendervi parte.