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Me lo sono già chiesto relativamente alla retribuzione, e ora è necessario allargare il discorso alla proprietà intellettuale: di chi è la riproduzione 3d di una città?

I Buddha Bamiyan

Mi ricordo la morsa di sconforto che colse l’opinione pubblica, quando nel 2001 circolò la notizia che i Taliban avevano distrutto i Buddha Bamiyan. Un paio d’anni dopo l’Unesco li ha inseriti nel proprio Patrimonio dell’Umanità, promettendo di risanarli dagli ingenti danni subiti.

Uno dei risanamenti più consistenti, emblematici, se vogliamo, è la digitalizzazione. Laddove l’ambiente dei Buddha è stato digitalizzato per consentirne la visione, si possono vedere le statue nella loro bellezza originaria: prima che gli stucchi venissero lavati via dalle intemperie, gli angoli della viva roccia smorzati, il colore pian piano omologato a quello del resto della montagna per ossidazione.

Almeno, questo dovrebbe essere il proposito della digitalizzazione.

Ma quindi, di chi sono?

E arriviamo alla domanda: a chi appartengono i cultural data prodotti grazie a competenze specifiche, e anche con una certa dose di senso artistico, da questi archeologi digitali?

Più che di proprietà sulle tecniche di lavoro, quindi, ha senso pensare: l digitalizzazione, cambiando l’ambiente di fruizione dell’opera, diventa un prodotto privato? E’ una distinzione importante, perché il prodotto privato cambia totalmente nelle modalità di fruizione.

E chi ha la mia età non può non ricordarsi gli entusiastici pellegrinaggi dei buddisti occidentali a visitare i Buddha Bamiyan, massima esposizione del Buddismo del Centrasia del III  e V secolo.

La fruizione

Quindi, la fruizione delle singole opere digitalizzate metterà chiaramente in discussione la loro natura “pubblica”. Tralasciando per un momento il discorso sul diritto d’autore: l’unico parametro per valutare se un cultural data verrà considerato pubblico o privato, sarà vedere a chi è destinata la fruizione, e come avviene.

Solo in base a queste considerazioni squisitamente pratiche riusciremo a capire di chi è il patrimonio artistico digitale.

 

C’è tempo fino al 19 maggio per gli appassionati della settima arte. Il festival di Cannes è nel pieno della sua 71esima edizione, e regala alcune proposte interessanti.

Cannes, quello che rimane

Coniugare una visita nella splendida cittadina francese con gli impegni lavorativi non è sempre facile. A chi avesse una passione latente, può risultare comunque una buona occasione per vedere lo star system calato in dei panni che non gli appartengono: quelli della sublimazione culturale.

Senza la malizia snobistica che si può percepire in questa frase: è chiaro che allo stato attuale, a Cannes un blockbuster non arriverà. Per ora, certo, ma per avere garantito ancora un minimo di tenore, dobbiamo andare al festival.

Quello che rimane della dimensione di ricerca artistica del cinema, lì lo possiamo trovare

Cannes 2018

Come ho già detto non sono propriamente un cinefilo. Matteo Garrone è stato il primo regista in concorso del quale ho parlato, perché italiano e perché ho avuto modo di vedere certi suoi cortometraggi d’esordio davvero notevoli.

Qui l’elenco completo dei film, per tutti quelli che come me li cercheranno nelle sale in anteprima, o in proiezioni ad hoc nella nostra penisola. Parlerò più avanti delle proiezioni che mi hanno colpito.

In concorso

At War, Stéphane Brizé
Dogman, Matteo Garrone
The Picture Book, Jean-Luc Godard
Asako I & II, Ryusuke Hamaguchi
Sorry Angel, Christophe Honoré
Girls of the Sun, Eva Husson
Ash Is Purest White, Jia Zhang-Ke
Shoplifters, Kore-Eda Hirokazu
Capernaum, Nadine Labaki
Burning, Lee Chang-Dong
BlacKkKlasman, Spike Lee
Under the Silver Lake, David Robert Mitchell
Three Faces, Jafar Panahi
Cold War, Pawel Pawlikowski
Lazzaro Felice, Alice Rohrwacher
Yomeddine, A.B Shawky
Summer, Kirill Serebrennikov

Un certain regard

Border, Ali Abbasi
Sofia, Meyem Benm’Barek
Little Tickles, Andréa Bescond & Eric Métayer
Long Day’s Journey Into Night, Bi Gan
Manto, Nandita Das
Sextape, Antoine Desorieres
Girl, Lukas Dhont
Angel Face, Vanessa Filho
Euphoria, Valeria Golino (con Riccardo Scamarcio e Valerio Mastandrea)
Friend, Wanuri Kahiu
My Favorite Fabric, Gaya Jiji
The Harvesters, Etienne Kallos
In My Room, Ulrich Köhler
The Angel, Luis Ortega
The Gentle Indifference of the World, Adilkhan Yerzhanov

Discutendo con un amico qualche giorno fa notavamo come i sistemi informali e alternativi di transazione a distanza siano invisi generalmente ai governi nazionali e, comprensibilmente, ai sistemi bancari.

Blockchain e hawala

L’aspetto curioso di tutto ciò è che la discussione è iniziata dalla blockchain, caratteristica principale della bolla bitcoin e affini.

Se le criptovalute detenevano il primato nell’elaborazione del sistema blockchain, possiamo constatare oggi come diversi istituti di credito abbiano adottato il sistema, e l’abbiano integrato ai propri già in uso.

Questo perché l’aspetto positivo della blockchain è la difficoltà di penetrazione e falsificazione. Il meccanismo si basa sulla crittografia tra un utente e l’altro. E sulla registrazione di ogni transazione. L’idea è molto semplice: la singola transazione deve essere approvata da un numero variabile di utenti (nessuno di loro sa chi è interessato dalla transazione, perché tutti i dati sono crittografati). Una volta “approvata” la transazione, questa avviene e viene registrata in un server centrale.

La fiducia

Il sistema si basa sulla fiducia spontanea che l’anonimizzazione offre. Il suo successo invece ha alla base i costi delle operazioni bancarie, e a volte le tempistiche.

Fiducia nella tecnologia della crittografia, che impedisce di manomettere il sistema e di entrare in possesso abusivamente dei dati degli utenti.

Curioso che il significato letterale di “hawala”, un termine credo arabo, sia proprio “fiducia”.

L’informalità sta alla base di questo semplicissimo sistema di transazione fiduciaria, nella quale un individuo consegna denaro contante a un altro. Questi contatta un altro “hawala dealer” nel luogo in cui il denaro dev’essere trasferito, e costui sulla base della fiducia intercorsa, dà dell’altro denaro contante proprio al ricevente.

Leggevo sul The Economist un articolo che parlava dell’hawala in Somalia. Lì un individuo è in grado di risalire fino a 15 generazioni precedenti alla sua, e il sistema di riconoscimento in base agli antenati funziona meglio di un passaporto.

Ecco perché la fiducia è caratteristica di entrambi i sistemi.

Invisi ai sistemi

In realtà la stessa fiducia nel sistema bancario è quella che garantisce la sua efficienza. E soprattutto, gli spostamenti di denaro tramite banche sono spesso tracciabili dai Governi. Questo rende blockchain e hawala ottimi sistemi per riciclare denaro e per finanziare organizzazioni criminali, o terroristiche.

 

Ecco che i campanilisti in agguato possono gioire: sono due gli italiani in concorso a Cannes, quest’anno.

Chi sono

Facezie a parte, parliamo di due consolidati, Alba Rohrwacher e Matteo Garrone. In Un Certain Régard, anche “Euphoria” di Valeria Golino.

La “maniera” di Garrone

Regista, Garrone lo è dai primi cortometraggi, e già formato e già con una sua “maniera”. Lo stesso occhio narrativo crudelissimo c’è in “Oreste Pipolo fotografo di matrimoni” e ne “Il racconto dei racconti”, benché di generi diametralmente opposti. In un caso, la fiaba che si potrebbe pensare di umanizzare, e invece rimane fiabesca e distante anni luce da qualsiasi tentativo di empatia, nell’opera tratta dal Cunto de li Cunti di Basile.

E poi, l’assoluta clinicità dell’occhio che accompagna Oreste Pipolo, come anche le protagoniste delle stade di periferia in un altro suo corto d’esordio, il primo di “Terre di mezzo”. Neorealismo manicheo, non ce n’è. Amarezza dello sguardo monicelliano, men che meno. Non c’è ironia, non c’è nemmeno significatività delle transizioni: tutte le opere garroniane scorrono, come telecamere sapienti nella fotografia, ma deboli nella lettura del cuore. Beninteso, il cuore è la sottile e fragile linea che demarca la soglia d’attenzione dalla partecipazione patetica.

In questo caso però il trailer sembra lasciar intravedere una storia drammatica. Fermi immagine significativi sulle espressioni facciali, non mancano. Il dogman è un esile gestore di un esercizio commerciale nel quale ci sono cani in gabbia. Questo è quanto evinciamo dalle scene a lui dedicate. Esile, quasi emaciato, ma non scolpito nel servilismo dei “deboli”, con movenze esacerbate. Non ha la gobba, non trema, non ha sguardo disperato. Appare, se vogliamo con il solito distacco imposto dell’occhio garroniano, un lavoratore che capisce la situazione, e (probabilmente) si adegua alle richieste dell’altro protagonista (del trailer, ovviamente), l’energumeno.

Qualcosa mi lascia presagire che l’energumeno non sarà un Cattivo, visto il camaleontico ingegno garroniano nel calarsi, sempre con il suo occhio vitreo, in tutti i generi.

D’altro canto anche la fiscalità ha inseguito l’arte per inseguirne il denaro sottostante, talvolta a buon diritto quando nasconde l’evasione, talaltro penalizzando un settore creativo che avrebbe invece bisogno di maggior fiducia e agevolazioni.

Così scrive Marilena Pirrelli a proposito del mercato dell’arte italiano. La trovo un’analisi molto lucida e comprensiva di tutti i fattori in gioco. Lei parla di “resistenze e esclusività”, riferendosi probabilmente alle sacche arenate dove la promozione non ha capito che si deve rivolgere a investitori generosi, ma anche, e soprattutto, fare rete.

Impresa culturale e creativa

Sembra che il networking, o il “fare rete”, sia la necessità prima alla quale deve votarsi ogni amministratore pubblico, ma anche ogni soggetto privato, per riuscire a intravedere uno spiraglio di successo.

È stato fatto un grande lavoro da parte della commissione Cultura della Camera che si è tradotto, dopo la falcidia della Commissione Bilancio, in una definizione. Sembra nulla ma in realtà è un passo importante: il riconoscimento delle Icc (Impresa culturale e creativa) non è cosa così scontata e rappresenta un lascito importante alla prossima legislatura. Con l’introduzione in Manovra poi di un credito di imposta, per quanto limitato, il segnale dell’importanza del settore culturale per l’economia nazionale diventa ancor più evidente.

Necessario cambiare la normativa

Questi fattori sono evidentemente di natura politica: la politica fa una scelta di campo, che è quella della promozione, e ricapitalizza le imprese che si dedicano alla cultura. Ma poi la normativa si deve adeguare a questi cambiamenti, e intervenire in senso logistico. Ecco che la maggior parte delle attuali leggi sulla promozione a valorizzazione culturale appartengono al periodo del Ventennio.

Alcuni provvedimenti

Qualche provvedimento positivo c’è, e li cita anche Pirrelli nell’articolo che ho riportato. Sono la legge 124 del 4 agosto 2017 , che vuole semplificare la circolazione internazionale dei beni culturali. In discussione c’è poi la legge sui delitti contro il patrimonio culturale. Tutti segnali positivi, ma bisogna attendere gli sviluppi normativi per capire se l’impatto sarà davvero rivoluzionario, com’è ora che avvenga.

Trovo a dir poco ironica la notizia che leggo casualmente sul Corriere Milano. In estrema sintesi: si trova un cumulo di rifiuti in un campo, vengono chiamati gli agenti. Questi frugano in mezzo alle suppellettili, poltrone, mobili, cartacce, vecchi libri. Trovano un tesi di laurea battuta a macchina, scritta 60 anni fa, e attraverso il nome impresso in copertina risalgono agli eredi della studentessa, colpevoli del fattaccio.

Montesquieu traditore

Che lo spirito delle leggi sia o meno nel contenuto della tesi in questione, non ci è dato saperlo. Ma la ratio del provvedimento di frugare nei rifiuti d’altri, se ci pensiamo, è di per  sé la scoperta dell’illecito, e non la violazione della privacy.

Se vogliamo quindi uno spirito della legge, che poi è di per sé la ratio stessa, prevede che si possa attuare una simile ricostruzione. Le attività ispettive e investigative si basano su questo principio del libero frugar, nel nobile intento di scovare gli illeciti. In questo caso, ambientali, e di estrema carenza di senso civico e rispetto delle norme sullo smaltimento dei rifiuti.

Ma che dire, in questo caso la ratio del provvedimento ha scovato uno dei manuali più basilari per chi vuole capire cosa sia la ratio nelle leggi.

Mi immagino la sorpresa degli agenti nel trovare il manuale, con un nome e cognome in bella vista, rivelatore come il cuore di Edgr Allan Poe. Chissà se a scuola avevano ricevuto solide nozioni sull’immenso pensatore e giurista francese, chissà se hanno colto l’ironia.

Primo in classifica il Castello Sforzesco che ha raccolto 8.411 ingressi, seguito dal Museo di Storia Naturale che ha avuto 7.482 visitatori. Terzo e quarto posto all’Acquario Civico (5.116) e al Museo del `900 con (4.150). Sono state poi 2.094 le persone che hanno scelto la Galleria d’Arte Moderna e 1.130 coloro che hanno preferito il Museo Archeologico. 1.691, infine, i milanesi e i turisti che si sono divisi tra Palazzo Morando, Mudec e Museo del Risorgimento.

Questi dati di Palazzo Marino, che chiude positivamente il bilancio di questa prima domenica al museo del mese di febbraio

Oltre 30mila visitatori per questa straordinaria iniziativa di coordinamento tra Mibact e Comune. Non è che l’ennesima riprova di come il sistema di promozione culturale stia funzionando, e straordinariamente anche con numeri massificati.

L’aspetto della gratuità è sempre stato un incentivo, ma mi pare ragionevole credere che il Web e la cultura dell’open source, dato spesso come dovuto, abbia contribuito non poco. In misura forse consistente, l’operazione di marketing che sta dietro la domenica al museo ha avvicinato ambienti altrimenti estranei e distanti.

Il museo sta diventando come l’opera? Sentirlo come inflazionato non fa parte del mio orizzonte, nè mai lo sarà. Dare comunque un’offerta culturale dignitosa, pur rimanendo in ambito divulgativo, sarà sempre un obiettivo preferibile alla riduzione degli ingressi in nome di una maggiore selezione di pubblico. Già ovunque si selezionano i pubblici ai quali è destinata la cultura.

Avanti, Milano, e avanti cultura.

Simone Piazzola (classe 1985)

Parliamo brevemente di Simone Piazzola, giovane e con prospettive interessanti. Alla stagione operistica della Scala di Milano si è sentito di recente (a novembre, sempre nella stagione 2017/2018) nella Messa per Rossini.

Il baritono di origine veronese Simone Piazzola si sta esibendo a Monaco, Parigi, Dresda e Berlino. I palcoscenici europei lo premiano con ruoli di spessore, principalmente verdiani, con l’eccezione del Lord Enrico Ashton nella Lucia di Lammermoor al Semperoper Dresden. Mi sembra che la definizione di baritono drammatico gli si possa confarre, come penso che dimostri il premio Bastianini che questo giovane tenore ha conquistato a Sirmione, l’estate scorsa. Il drammatica belcantista della Lucia di Lammermoor non penso possa essere messo in discussione, si può però restringere il campo a “baritono verdiano”, per la sua grande plasticità, a mio avviso, e la sua straordinaria tenuta.

Comunque, Chailly l’ha diretto nella Messa per Rossini alla fine dello scorso anno, come solista. Aspetto con trepidazione il suo don Carlo nell’Ernani a ottobre dell’anno in corso.

Meteorite Ipazia, titolano i giornali.

Una figura controversa, così densa di categorie disparate da permettere appropriazioni ideologiche da fronti diversi.

Tralasciando in blocco clericalismi dell’ultim’ora, il mio pensiero va alla scuola di Atene del nostro Raffaello.

Che Ipazia trovi posto in questo consesso di grandi è in realtà un’equazione non così scontata. Lo stilnovismo, la mentalità cortese e la letteratura trobadorica da sole non bastavano ovviamente ad acuire l’interesse verso coloro del gentil sesso che manifestassero inclinazioni aristotelicamente “maschili”. La Beatrice dantesca non ha meriti intellettuali di sorta, per intenderci.

Un altro fattore da considerarsi è l’interesse dell’Umanesimo in un certo senso relativistico verso le conquiste scientifiche. Mi spiego, l’Umanesimo ha in sé i germi del metodo galileiano, almeno così ci insegnano i manuali di letteratura vocati alla nozione di continuità storica e progresso. Secondo questa visione, l’Umanesimo non è che un preludio, con la sua ricerca filologica, al tentativo di scandaglio veridico che poi sarà prerogativa e caratteristica delle scienze.

Meteorite Ipazia, una fusione tra generi

Il meteorite Ipazia quindi mi evoca anche quel meteorite che fu quella figura storica. Una donna, innanzi tutto, che per l’epoca ellenistica aveva più spazio di manovra della donna ellenica. Più accesso alla cultura, quantomeno, vista la fruizione documentata bi-genere delle Biblioteche di Alessandria e Pergamo, ad esempio. Ora, non so se fossero due realtà cosmopolite al punto da accettare la stranezza femminile, constato unicamente un dato di fatto.

Quindi, Raffaello percepì in lei non solo la dignità di parola e di ricerca spirituale attribuita alle donne cortesi accrescitrici di spirito. Ma anche, e soprattutto, una mente razionale, in barba a quella stessa concezione aristotelica che l’avrebbe privata dell’animo intellettivo. In quanto donna, sempre.

Il laicismo del quale è stata ammantata dalla tradizione successiva non preoccupa ovviamente Raffaello, che ha le Stanze Vaticane come obiettivo. Trovo comunque significativo il fatto che l’istituzione ecclesiastica consentisse all’epoca uno spiraglio di dissenso simile. Ingentilito dal tributo a Umanesimo e valori cortesi, che comunque denotano più una secolarizzazione dell’istituzione che altro.

Più che veicolo ideologico, mi pare molto una patina “fashion”, l’inserimento di Ipazia.

 

Mi sono poi scordato di aggiornare lo status del numero chiuso alle facoltà umanistiche alla Statale di Milano. Ne parlavo a settembre in questo intervento.

Vinto il ricorso al Tar, la facoltà ha deciso di non appellarsi al Consiglio di Stato sul numero chiuso.

Il numero dei partecipanti è stato così mantenuto aperto, come negli anni precedenti, per i corsi di laurea in Filosofia, Lettere, Scienze dei Beni culturali, lingue e letterature straniere, Storia, Scienze umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio. Esultanza dei collettivi universitari a parte, non sembra che in Senato Accademico fosse disposto a retrocedere, almeno a quanto si evince dai giornali.

Piuttosto, la necessità di garantire il regolare svolgimento delle lezioni ha avuto la meglio, la contingenza ha sopravanzato l’idea. Ma l’idea permane, solo penso avrà bisogno di un contraltare nazionale, per ora assente (il ministro Fedeli ha infatti mostrato assenso più verso la riapertura che altro).

Non sono incline all’appello accorato, ma riflettiamo quanto sia l’ammontare di capitale umano che si forma dietro quei portoni. Il numero chiuso renderebbe professionalizzanti dei corsi di studi che non sono nati per esserlo. Perché non mettere l’onesta premessa che “qui si studia per migliorare le proprie persone”? Capisco la frustrazione di non ottenere una adeguata remunerazione dopo anni di studio. Ma limitare il sapere? Se io volessi iscrivermi a Filosofia domani? Non ho necessità professionalizzanti, voglio solo avere i migliori insegnanti per veicolarmi la scuola di Francoforte, l’idealismo, voglio magari dare una veste strutturata all’ultimo libro che ho letto.

E’ una parzialissima analisi, come la precedente. Ma non può che suonarmi sospetta questa chiusura di numero, sospetta per il decremento della qualità globale dell’istituto universitario della prestigiosa Statale di Milano.