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Quando ho parlato di scoperte archeologiche cinesi e dell’impatto che possono avere sulla politica, ingenuamente ho escluso l’Italia dall’equazione. O meglio, non ingenuamente, ma consapevolmente, per non creare inutili polemiche.

Però va detto, anche noi, quando si tratta di opere artistiche o archeologiche, abbiamo la “restituzione” facile.

Isernia – processo alla Francia che ci “restituisce” il bimbo paleolitico

Ho letto su un giornale cartaceo che la Francia, dopo aver detenuto per alcune analisi un dentino paleolitico ritrovato in località La Pineta a Isernia, lo rimanderà in Italia.

Dove merita di stare, e cioè nel Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia. 

Ma cosa ci faceva un dentino di ominide vissuto 600mila anni fa in Francia?

Qui l’orgoglio campanilista e filologico dell’amante dell’appassionato dell’archeologia potrebbe farsi alcune domande. Ci sono forse dei laboratori più attrezzati? C’è un team di ricercatori specializzato in dentini di ominidi, e abbiamo inviato il reperto là per avere ulteriori prove sulla sua provenienza?

No, molto meglio.

La figura del paleo-artista

Non parliamo di cantanti di musica leggera stagionati, eppure ancora sul palcoscenico. No, il paleo-artista, anzi LA paleo-artista, si chiama Élisabeth Daynès ed è una grande esperta di restituzione artistica di immagini tratte dai reperti storici.

Serve un esempio?

Pensate all’australopiteco Lucy che avete visto nei libri di scuola dei vostri figli o nipotini. Probabilmente, quell’immagine è una fotografia dell’opera dell’artista.

Basandosi sul reperto archeologico, su competenze genetiche e su una padronanza dei materiali raffinata, l’artista ha preso un dentino, e ne ha fatto un bimbo vero.

“Tornare” è meglio di “restituire”

A questo punto è evidente che il concetto di “restituire” politicizza inutilmente quella che è stata un’imposizione da lockdown. L’artista ha finito la sua opera, il dentino ha viaggiato tra team diversi.

Quest’estate entrambi i manufatti sono stati riconsegnati al Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia processo visibile dal 14 agosto dal grande pubblico, seguendo le normative di restrizione del Covid. 

Quindi, attenzione a capire il vero significato delle parole. E buona gita molisana!

 

Era il 9 giugno 1950 quando la Pinacoteca di Brera riaprì sotto le abili mani di Fernanda Wittgens

Una data simbolica

Riapre oggi, senza ulteriori indugi, la Pinacoteca dopo il blocco dovuto al Coronavirus. Una data che richiama senza ombra di dubbio quella ufficiale, storica apertura dopo le devastazioni della guerra. C’erano voluti 5 anni di preparazione, recupero, restaurazione per riaprire dignitosamente e riportare l’istituto ai suoi precedenti fasti.

In realtà, a qualcosa di più, perché le vesti della Pinacoteca oggi, come nel 1950, sono radicalmente diverse rispetto al pre-chiusura. 

Cosa cambia con la riapertura della Pinacoteca di Brera

Gli ingressi sono ovviamente contingentati, e non è consentita la visita a più di 152 persone alla volta. L’entrata è sempre gratuita, almeno fino all’autunno.

Purtroppo non saranno visitabili le sale fisicamente più piccole, non potendo consentire al loro interno il distanziamento sociale necessario per prevenire un’ulteriore ondata del virus.

Non sarà la stessa cosa, ammirare la Pinacoteca con il distanziamento sociale. Però va detto anche che sicuramente gli investimenti di lungo termine cambieranno la loro forma.

Come una maggiore fiducia nel sistema economico fa sì che i progetti e le installazioni diventino più magniloquenti, confidando nell’introito e nella diffusione di un flusso turistico che non si arresta, ora il virus ha messo in discussione la continuatività di questo flusso.

È naturale che gli investimenti nell’arte cambieranno, e quelli museali in particolar modo.

Una Pinacoteca che non sarà più la stessa

Infatti, se già l’interesse per il digitale aveva dettato gran parte dell’agenda della Pinacoteca prima del lockdown, possiamo dire che la quarantena abbia fatto mettere ai curatori il piede sull’acceleratore.

Non dimentichiamoci che la Pinacoteca di Brera è stata una delle prime a consentire, nella seconda metà di marzo, un tour virtuale all’interno delle proprie sale. 

Tanti altri avevano attivato alcune tranche di tour, o parti di mostre, ma qui si parla di un tour integrale, comprensivo delle mostre provvisorie. L’attenzione al digitale si ritrova quindi ancora più acuita in seguito a questa riapertura. La Pinacoteca non sarà più la stessa.

 

Nonostante la momentanea interruzione delle domeniche gratis, poi ripristinata da Franceschini nel settembre 2019, le visite dei musei italiani nel 2019 sono state in crescita rispetto al 2018.

Un boom a Pompei

La vincitrice indiscussa è Pompei: le presenze in più sono state 160 mila. Il totale di 4 milioni di biglietti è notevole, considerando le ondate di maltempo che ci sono state durante l’anno, e che hanno penalizzato tutti i siti turistici italiani.

Consideriamo che circa 4 anni fa i biglietti per Pompei erano 2,5 milioni.

Musei piccoli e periferici spesso penalizzati

Essere lontani dalle rotte del turismo può avere i suoi svantaggi. Così è stato nel 201 per i piccoli musei e le piccole gallerie, fortemente penalizzati dagli episodi di maltempo e della chiusura domenicale. A differenza delle grandi gallerie.

I numeri dei big

Perdono visite invece il Colosseo, che registra 100mila presenze in meno rispetto al 2018. 7,5 milioni di presenze totali per il monumento considerato il simbolo dell’Impero Romano, della Città Eterna, e da qualcuno dell’Italia stessa.

Gli Uffizi registrano 4,5 milioni di visite. Quest’anno sono state considerate in aggregato con il giardino di Boboli e Palazzo Pitti.

Questi tre, Pompei, gli Uffizi e il Colosseo, sono i vincitori indiscussi del 2019, per quanto riguarda le presenze.

Numero dei visitatori: non aumenti esponenziali

E’ diversi anni che gli aumenti sono esponenziali, ma il 2019 ha risentito delle due diverse attenuanti del maltempo e della chiusura delle domeniche.

Una nota per Matera: la cittadina ha registrato un 20% in più di visite, in seguito all’elezione di capitale europea della cultura 2019.

Mi dicono professionisti della comunicazione digitale che parlare di 2.0 sia in realtà obsoleto. Non faccio nemmeno in tempo ad aggiornarmi, sembra.

Però insieme a me ci sono quelli che hanno partecipato a ‘Museum digital transformation’, conferenza dedicata al tema della comunicazione digitale dei musei, organizzata a Firenze dall’Opera di Santa Maria del Fiore e giunta alla sua seconda edizione.

Hanno partecipato alla conferenza le principali gallerie d’arte italiane, o almeno alcune di esse. Specialmente quelle che si sono distinte per l’investimento tecnologico nella promozione e presentazione degli articoli da museo.

Oggi i galleristi puntano al pubblico giovanile focalizzandosi su quelle che sono le sue passioni. Come si fa di prassi, solo che la velocità da capogiro che sta assumendo il contrasto generazionale con i nati nel Duemila potrebbe mettere in difficoltà.

Opera Duomo, i partecipanti

I partecipanti erano oltre 200, tra i quali spiccavano gli Uffizi, l’archeologico di Napoli, l’Egizio Torino, quello dell’Opera del Duomo di Firenze, il Maxxi a Roma.

Le tendenze dei giovanissimi

La cosa che più mi ha incuriosito sono appunto le tendenze di questi giovani e giovanissimi: gaming, chatbot, messaggistica per il servizio clienti, intelligenza artificiale, realtà aumentata e virtuale.

Posso capire la messaggistica che annulli la distanza comunicativa per il reperimento di informazioni. Tutto tende a essere rapido e immediato, nella buona pratica di promozione aziendale. La chatbot invece, mi chiedo come possa essere applicata alla promozione museale. Non avendo assistito alla conferenza, speculo: l’utente contatta il sito, e gli risponde un’intelligenza artificiale (altro argomento di dibattito, per l’appunto) che gli dà le indicazioni richieste.

Come coniugare insomma le FAQ alla sensazione di avere un contatto umano, al quale delegare la responsabilità dell’informazione sbagliata (non “hai letto male” ma “me l’ha spiegato male”).

O magari tutti questi dibattiti creeranno delle stampelle alle installazioni, alla proiezione, alla fruizione vera e propria.

L’idea della chatbot che mi spiega Michelangelo, comunque, non mi dispiaceva.

Si avvicina il primo marzo, data fatidica dalla quale si inizierà a pagare il biglietto per entrare al Met di New Work. In ambito di cura museale e critica d’arte, la notizia non è certo accolta di buon grado.

Ma prima non si pagava, al Met?

Passato dal pay as you wish, ovvero l’offerta libera, il colosso dell’intrattenimento di qualità forse più conosciuto di New Yotk all’estero, cesserà la propria politcy libertaria. Il motivo sembra essere un buco di bilancio abbastanza consistente. Convinto a licenziare curatori, il direttore Thomas Campbell, e addirittura a interrompere alcune mostre in corso d’opera, il Met è quindi in difficoltà.

Se su questo dato lasciamo la competenza ai curatori museali newyorkers, possiamo in tutta serenità pensare alla nostra situazione italiana, e occuparci di quella. Quanti musei a entrata gratuita abbiamo in Italia? Ricordo non troppi anni fa lo stupore dell’entrare alla National Gallery, patrimonio artistico unico, inimitabile. Il pay as you wish era nella forma di un’urna trasparente, come quelle delle mance in alcuni locali e pub.

Non mi risulta che la National Gallery stesse affrontando una situazione di bilancio complessa, almeno quanto quella che le cronache attribuiscono al Met.

Ma mi posso spiegare l’insorgere dell’opinione pubblica contro il provvedimento, anche perché vedo delle cifre di biglietti che risultano abbastanza onerose per il consumatore. Lo stesso cospargersi il capo di cenere si è visto quanto un simile innalzamento repentino ha avuto luogo per gli Uffizi di Firenze.

Insomma, valutate le comprensibili necessità di bilancio: una via di mezzo, come un biglietto a prezzo popolare, non potrebbe essere una soluzione? Con la debita campagna pubblicitaria, per la quale sto già elaborando titoli. “Meet the Met” è finora in cima alla lista.

 

Tra i declivi verdeggianti di Varallo, sulle sponde del Sesia, nasce per volontà di un pellegrino di ritorno dalla Terra Santa il Sacro Monte di Varallo. Siamo alle soglie dell’età moderna e il culto delle reliquie è in piena auge. Il Sacro Monte si presta alla riproposizione dei luoghi sacri della via Dolorosa di Gerusalemme, e qui si crea un culto destinato a durare nei secoli.

Ci passeranno reali e santi (il più celebre Carlo Borromeo). Ma soprattutto lascerà la sua impronta Gaudenzio Ferrari, il Michelangelo piemontese. Le statue in legno colorato dell’annunciazione, dei personaggi del presepe, fino alla cappello dei Magi, sono calde e potenti.

Se di Michelangelo vero e proprio non parliamo, è vero che così è ricordato l’artista da certa critica.

Dal 23 marzo al 1 luglio 2018 è stata annunciata una grande mostra sull’artista cinquecentesco nelle tre sedi di Novara, Vercelli e Varallo Sesia.

I curatori, Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, promettono incognite espositive. Sul percorso, l’assessorato alla cultura di regione Piemonte assicura che una grande parte sarà riservata alla didattica, sulla quale conviene investire. Sia per i finanziamenti che si possono ricevere in vista dello status di progetto didattico, banalmente, sia per la maggiore e garantita diffusione.

Dal punto di vista scolastico, visto quanto si parla ultimamente di didattiche alternative, la visita alla mostra è sicuramente interessante. Gaudenzio Ferrari si presta poi alla facile comprensione, con la sua matericità, i volti eloquenti, ma anche con la storia semplice che nella maggior parte dei dipinti veicola.

A Varallo, la stori evangelica. A Novara invece la storia della sua maturità, nel periodo più manierista e “alla moda” con le tendenze pittoriche del momento. Come non ricordare il michelangiolesco polittico della basilica di san Gaudenzio di Novara?

O, in Cattedrale santa Maria Assunta, lo Sposalizio di santa Caterina, di quasi dichiarata ascendenza raffaellesca?

Un’occasione da non perdere.

Gaudenzio Ferrari, Statue in legno dei Magi, Sacro Monte di Varallo