Abbiamo parlato nelle scorse puntate dell’uccisione rituale comune a molte culture dell’antichità, e alla vicenda di Diana dei Boschi e dei sacerdoti di Aricia che si uccidono a vicenda per prendere il ruolo di capi della comunità.
Ma da dove arriva questa barbara usanza, che sopravvisse fino all’età Imperiale?
L’origine
Si narra che il culto di Diana Nemi fosse stato istituito da Oreste il quale, dopo aver ucciso Toante, re del Chersoneso Taurico (la Crimea) si rifugiò in Italia con sua sorella, portando con sé il simulacro della Diana Taurica nascosto in una fascina di legno.
Quando Oreste morì, le sue ossa furono trasportate da Aricia a Roma e sepolte davanti al Tempio di Saturno, sul colle capitolino, accanto al Tempio della Concordia. Il cruento rituale che la leggenda attribuiva la Diana taurica è noto a chi conosce i classici: ogni straniero che approdava a quelle sponde veniva immolato sull’altare della dea.
Trasportato in Italia, il rito assunse una veste meno sanguinaria: nel santuario di Nemi cresceva infatti un albero di cui era proibito spezzare i rami.
Solo a uno schiavo fuggitivo era concesso di cogliere una delle sue Fronde, e se riusciva nell’impresa, questi aveva il diritto di battersi con il sacerdote. Se l’avesse ucciso, avrebbe potuto regnare in sua vece con il titolo di re del Bosco.
Stando a quanto dicono gli antichi proveniva da quell’albero la stessa fronda d’oro che Enea colse per ordine della Sibilla prima di entrare nel mondo dei morti.
Lo schiavo
Simbolicamente, la fuga dello schiavo rappresenta la fuga di Oreste, mentre il combattimento con i sacerdoti ricorda i sacrifici umani diretti alla Diana Taurica. Ricordiamo come Caligola, ritenendo che il sacerdote della Diana Taurica fosse rimasto troppo a lungo in carica, avesse assoldato un mercenario per ucciderlo; abbiamo poi la memoria di un viaggiatore dei tempi degli Antonini che riporta dell’esistenza ancora intatta del rituale dell’uccisione.
Ma Diana Nemorensis non era l’unica divinità che si venerava in quei boschi…
(continua)