Di opere storico-artistiche a rischio, nella nostra prolifica penisola, ne abbiamo molte. Ma una di quelle che mi stanno più a cuore in questo momento è il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, al momento oggetto di un monitoraggio per verificare se ci sia la necessità di una revisione conservativa.
Il monitoraggio fa parte del piano comunale Florence I care, un progetto nato per valorizzare il patrimonio storico artistico cittadino in un’ottica di recupero non solo artistico, ma anche urbanistico.
Firenze è una città splendida, a parere di molti la più bella città italiana. Non so se assentire, anche perché non necessariamente una nostra particolare affezione verso una città dovrebbe influenzarci in un giudizio di merito.
Però sì, va detto che se consideriamo il periodo di massima fioritura artistico-economica della penisola italica, non possiamo non partire dal ‘400-500. Ed è proprio qui che hanno vita delle grandissime esperienze artistiche delle nostre migliori città d’arte, tra cui Firenze è capofila.
Attenzione: parlo solo di una questione artistico-urbanistica. Quindi, parlo di Santa Maria Novella e degli Uffici, e non del David come simbologia del riflessivo uomo moderno, né del fatto che la lingua dello Stato Italiano è stata mutuata sul calco fiorentino.
Quindi, beni materiali e non immateriali.
E Firenze, e il soffitto di Palazzo Vecchio in primis, nasce sulla cresta di quest’onda di rinnovamento architettonico e urbanistico, in un modo molto più centralizzato rispetto ad altre città rinascimentali.
Fa piacere constatare come il progetto sia stato finanziato grazie a una erogazione liberale dell’azienda Pramac. A segno che la cultura e il patrimonio artistico hanno ancora un certo ascendente. O almeno, se vogliamo gettare la maschera naif, a segno che la società civile apprezza ancora molto che un’azienda eroghi a favore del bene comune.
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