Inutile elencare le opere shakespeariane più famose… Ognuno avrà il proprio canone, la propria antologia di idilli, citazioni, spettacoli teatrali visti. Ognuno vorrà dire qualcosa di diverso e soggettivo. 

Di una sola cosa sono sicuro: nessuno citerà tra le opere shakespeariane più famose il Coriolano.

Un peccato, perché c’è tanto materiale in questa opera per discutere e raccogliere bei momenti teatrali e di sceneggiatura.

Oggi vi racconto la trama del Coriolano. Così, per sfida. 

Di cosa parla il Coriolano di Shakespeare

Menenio cerca di calmare un ammutinamento tra i cittadini romani per il modo in cui sono stati trattati dai nobili. Il suo amico Caio Marzio li tratta con disprezzo e i cittadini si disperdono. L’atteggiamento di Marzio suscita l’ira dei tribuni Sicinio e Bruto.

Arriva la notizia che i Volsci sono in armi sotto Aufidio, inviato ad attaccare Roma. Volumnia e Virgilia discutono con orgoglio delle precedenti imprese di Marzio e ricevono la visita di Valeria, che riferisce dell’arrivo di Marzio nella città volsca di Corioles. I generali Comenio e Tito Larzio attaccano. Marzio è protagonista di diverse schermaglie e di uno scontro tra lui e Aufidio, al termine del quale Corioles viene catturata. Per il suo ruolo nella battaglia, Marzio riceve il titolo onorifico di Coriolano.

Coriolano torna a Roma, dove incontra la sua famiglia e si ritrova candidato alla carica di console. Affinché la candidatura sia valida, deve presentarsi umilmente al popolo e ottenere i suoi voti, compito che svolge a malincuore. Il popolo gli dà i suoi voti, ma Bruto e Sicinio lo dipingono come nemico del popolo e questo fa cambiare l’opinione comune che si ha su di lui. Quando questo viene riferito a Coriolano, egli non riesce a contenere la sua rabbia; parla contro il popolo e viene accusato di essere un traditore. Un violento scontro lo costringe ad andarsene. Dopo essere stato consigliato dalla famiglia e dagli amici, torna a incontrare il popolo, con l’intenzione di parlare in modo mite, ma non riesce a controllarsi di fronte ai loro scherni e viene bandito. Volumnia rivolge parole dure ai tribuni.     

Nel frattempo i Volsci hanno ripreso le armi. Coriolano va a offrire i suoi servigi ad Aufidio, che lo accoglie. Quando la notizia di questa alleanza arriva a Roma, si scatena il panico e il popolo comincia a pentirsi di ciò che ha fatto. Inviano suppliche per chiedere a Coriolano di risparmiare Roma. Egli respinge gli approcci di Cominio e Menenio, ma alla fine cede a Volumnia, Virgilia, Valeria e Giovane Marzio.

Nel frattempo, la popolarità di Coriolano cresce tra i volsci, con grande disappunto di Aufidio. Si riunisce con un gruppo di cospiratori e, al ritorno di Coriolano, viene nuovamente chiamato traditore e ucciso. Aufidio si pente immediatamente delle sue azioni e i volsci si preparano a dargli un nobile funerale.

Il concetto di proprietà culturale è ovvio che si leghi a doppio filo a quello di retribuzione della stessa. Ne ho parlato in tre occasioni, da un lato valutando la retribuzione per coloro che contribuissero al patrimonio culturale digitalizzato. Dall’altro considerando che contribuire al patrimonio collettivo non esula dal riconoscimento della proprietà intellettuale. Considerando questo riconoscimento, non si può esulare da una retribuzione.

I cultural data

Però non ho considerato tutti gli aspetti della questione: di chi sono i dati culturali che fanno parte di una banca dati (perdonate il gioco di parole) reperibile online? Innanzi tutto, bisogna scomodare un nuovo conio, il termine “cultural data”:

Il termine “cultural data” è stato coniato da Lev Manovich, scrittore e docente di Computer Science Program delle City University di New York nel 2007 e ripreso nel 2014 dall’archeologo Neil Asher Silberman, sulla rivista giuridica International Journal of Cultural Property profetizzando il passaggio da beni culturali “materiali” a cultural data ossia riproduzioni, in formato digitale, di opere d’arte o monumenti esistenti o, più in generale, il corredo di informazioni culturali in cui l’arte è smaterializzata.

(da Il Sole24Ore)

Digitalizzare la cultura

Qui il caso della proprietà intellettuale è ben diverso dal caso di Diderot, di cui ho parlato. E’ diverso nella misura in cui il contributore dell’Enciclopedia è autore anche morale del contenuto. Ad esempio, in una voce su un autore letterario, sarà comunque l’enciclopedista il responsabile dell’organizzazione dei pensieri che sottosta alla voce in questione. L’autore letterario, proprietario della propria opera, non potrà rivendicare anche il possesso su quest’altra, frutto di un’altra elaborazione intellettuale.

Il caso dell’editore

Ci può aiutare a dirimere la questione, a mio parere, il caso dell’editore. In che misura l’editore e il distributore sono proprietari del materiale intellettuale ceduto? Ci sono dei contratti e delle percentuali di utilizzo consentito (nel caso della fotocopia, ad esempio) che regolano questo tipo di proprietà.

Ma il caso dei cultural data è diverso. (Continua)

Alla luce del recente quanto piuttosto inaspettato successo dell’Argentina ai mondiali di calcio in Qatar, vorrei fare qualcosa di insolito: ripercorrere i successi di questo Paese, così martoriato economicamente e politicamente, ai mondiali precedenti. Potrei diversamente produrmi in un mio commento sulla vittoria, ma come sempre credo empiricamente che i fatti ci aiuti a meglio comprendere la realtà, a volte più di spiegazioni posticce e dense di una finta capacità previsionale.

1930 – Uruguay

Siamo alla prima Coppa del Mondo di calcio a marchio FIFA. L’Argentina raggiunge la finale e perde il titolo contro l’Uruguay. L’ultimo gol è stato segnato da Héctor Castro, che all’epoca era conosciuto come il Divino Manco (letteralmente “monco divino”) per il braccio che gli era stato amputato da una motosega all’età di 13 anni.

1934 – Italia

Trionfa l’Italia, battendo la Cecoslovacchia in finale.

L’Argentina viene eliminata nella prima partita dalla Svezia.

1938 – Francia

L’Argentina decide di non partecipare dopo aver perso la corsa come paese ospitante.

L’Italia batte l’Ungheria e conquista nuovamente la finale.

1950 – Brasile

L’Argentina è di nuovo assente. Domina l’Uruguay.

1954 – Svizzera

L’Argentina sceglie di non partecipare per la terza edizione consecutiva. Vince la Repubblica Federale Tedesca contro l’Ungheria, capitanata da Ferenc Puskas.

1958 – Svezia

L’Argentina torna alla Coppa del Mondo ma viene eliminata al primo turno dalla Cecoslovacchia.

Pelé ha 17 anni e già guida la sua squadra nazionale. Vince il Brasile.

1962 – Cile

La squadra argentina viene nuovamente eliminata al primo turno.

1966 – Inghilterra

L’Argentina viene eliminata ai quarti di finale in una partita molto discussa per via dell’espulsione anticipata di Antonio Rattín.

Vince l’Inghilterra.

1970 – Messico

L’Argentina è esclusa dalla Coppa del Mondo per motivi sportivi. Parliamo di un mondiale importantissimo perché formalizza alcune regole poi divenute simboliche: il pallone a esagoni bicolori, più facilmente visibile nelle televisioni in bianco e nero, va a sostituire il classico pallone in cuoio scuro. Inoltre, sono previste per la prima volta ammonizioni ed espulsioni.

1974 – Germania

L’Argentina guadagna un ultimo posto nel girone della fase finale.

1978 – Argentina

Il capitano Passarella è il primo argentino a sollevare la Coppa del Mondo.

1982 – Spagna

In questo mondiale che tutti ricordiamo come un trionfo italiano, l’Argentina arriva da campione in carica con una squadra rafforzata da Diego Armando Maradona, già campione con il Boca e venduto al Barcellona.

La squadra argentina si ritira dal torneo nel secondo girone, con la sconfitta del Brasile e Maradona espulso.

1986 – Messico

L’Argentina vince con con l’assist di Diego Armando Maradona per il terzo e decisivo gol nel 3-2 finale contro la Germania, segnato da Jorge Burruchaga.

1990 – Italia

In semifinale, allo stadio San Paolo di Napoli, l’Argentina elimina l’Italia ai rigori.

Vince la Germania. 

 1994 – Stati Uniti

L’Argentina perde contro la Bulgaria nell’ultima partita del suo girone e poi contro la Romania agli ottavi di finale.

1998 – Francia

L’Argentina si presenta con una squadra la cui stella principale era Gabriel Batistuta, il primo argentino a segnare due triplette in Coppa del Mondo.

Segue l’eliminazione agli ottavi di finale per l’espulsione di Ariel Ortega dopo aver aggredito il portiere olandese con una testata.

2002 – Corea del Sud e Giappone

L’Argentina perde al primo turno.

2006 – Germania

La vittoria dell’Italia non mette in ombra un promettente 19enne Lionel Messi, che consente all’Argentina di raggiungere i quarti di finale.

2010 – Sudafrica

Diego Maradona veste i panni di allenatore e porta la squadra alla soglia dei quarti di finale.

2014 – Brasile

Una finale combattutissima ci mostra un’Argentina matura e pronta a rivaleggiare con i più grandi al mondo.

2018 – Russia

L’Argentina raggiunge gli ottavi di finale.

Non solo dal punto di vista linguistico, perché ogni dialetto è dotato di una propria grammatica e lessico, in parte ricalcati sull’italiano, ovviamente, ma anche per la soglia di comprensibilità: spesso i parlanti di un gruppo non sono in grado di comprendere il dialetto parlato da un altro gruppo.

In alcuni casi, e parlo di alcune specifiche comunità di parlanti dialettali, uno tra tutti il napoletano, esistono dei dizionari, una letteratura, delle antologie, che contribuiscono a dare al dialetto una veste ufficiale.

C’è poi la questione della nobilitazione politica: prendiamo ad esempio il sardo, lingua ufficiale a tutti gli effetti dell’omonima isola. Consideriamo il fatto che dei tre ceppi dialettali del sardo, uno solo è diventato “il sardo” parlato ufficialmente. La nobilitazione politica rende inopportuno chiamarlo dialetto: trattasi di una lingua neolatina, in gran parte derivata dall’italiano.

17 gennaio, giornata nazionale del dialetto

In onore a questa caratteristica frammentazione linguistica della nostra penisola, il 17 gennaio ricorrerà la giornata nazionale del dialetto, alla quale le Pro Loco di ogni città e cittadina italiana sono invitate ad aderire con eventi a tema, tra cui rappresentazioni teatrali, letture, musica e altro.

L’importante è che queste iniziative siano tenute, almeno parzialmente, in dialetto.

Anche per chi mal lo parla o lo comprende appena, ho un invito: approfittate dell’occasione. Se è vero che il popolo italico è lento nell’apprendimento di nuovi idiomi, per l’investimento di risorse che questo comporta, almeno facciamo tesoro di quanto abbiamo vicino a noi: a beneficio della cultura, della tradizione locale, e anche dell’emisfero sinistro, mettiamoci nella condizione di ascoltare un po’ di dialetto.

Di opere storico-artistiche a rischio, nella nostra prolifica penisola, ne abbiamo molte. Ma una di quelle che mi stanno più a cuore in questo momento è il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, al momento oggetto di un monitoraggio per verificare se ci sia la necessità di una revisione conservativa. 

Il monitoraggio fa parte del piano comunale Florence I care, un progetto nato per valorizzare il patrimonio storico artistico cittadino in un’ottica di recupero non solo artistico, ma anche urbanistico.

Firenze è una città splendida, a parere di molti la più bella città italiana. Non so se assentire, anche perché non necessariamente una nostra particolare affezione verso una città dovrebbe influenzarci in un giudizio di merito.

Però sì, va detto che se consideriamo il periodo di massima fioritura artistico-economica della penisola italica, non possiamo non partire dal ‘400-500. Ed è proprio qui che hanno vita delle grandissime esperienze artistiche delle nostre migliori città d’arte, tra cui Firenze è capofila.

Attenzione: parlo solo di una questione artistico-urbanistica. Quindi, parlo di Santa Maria Novella e degli Uffici, e non del David come simbologia del riflessivo uomo moderno, né del fatto che la lingua dello Stato Italiano è stata mutuata sul calco fiorentino.

Quindi, beni materiali e non immateriali.

E Firenze, e il soffitto di Palazzo Vecchio in primis, nasce sulla cresta di quest’onda di rinnovamento architettonico e urbanistico, in un modo molto più centralizzato rispetto ad altre città rinascimentali.

Fa piacere constatare come il progetto sia stato finanziato grazie a una erogazione liberale dell’azienda Pramac. A segno che la cultura e il patrimonio artistico hanno ancora un certo ascendente. O almeno, se vogliamo gettare la maschera naif, a segno che la società civile apprezza ancora molto che un’azienda eroghi a favore del bene comune.

(continua dal precedente sul rapporto tra cultura aziendale e finanza)

In primo luogo, una cultura aziendale positiva ha buone ricadute sulla reputazione del brand. I clienti sono fidelizzati e motivati, così come i dipendenti. Ci sono diversi studi che provano i modo schiacciante come un alto livello di engagement dei dipendenti porti a una decrescita del turnover.

Infine, la giusta cultura aziendale promuove cambiamenti positivi con maggiore innovazione e nuovi prodotti, che possono stimolare la produttività o espandere la base di clienti di un istituto finanziario. 

A questo proposito cito di nuovo un articolo di Forbes in cui si rilanciano le parole di John Chambers, ex amministratore delegato di Cisco.

Chambers sostiene che “il 40-50% delle Fortune 500 non esisterà più entro un decennio”. Secondo Chambers, l’attuale crisi è un momento spartiacque in cui sopravvive solo chi ha le forze e le caratteristiche adatte per sopravvivere.

Anche se resta da vedere quanto saranno efficaci i documenti che consigliano alle istituzioni finanziarie e ad altri settori di adottare la cultura “corretta”, non c’è dubbio che una cultura positiva e innovativa sia fondamentale per il successo di qualsiasi azienda. È uno studio senza fine, come del resto prevede l’imprenditorialità e la consulenza di un certo livello.

A cultura aziendale cambia nel tempo, e il mondo dei prodotti finanziari non può rimanere indietro.

C’è un fatto accaduto questo settembre che vale la pena menzionare, se parliamo di cultura aziendale e finanza: la Monetary Authority di Singapore, una delle principali autorità di regolamentazione finanziaria del mondo, ha pubblicato due documenti che parlano di cultura. 

Il primo documento si concentra su nove risultati che l’autorità ritiene debbano essere raggiunti da tutte le istituzioni finanziarie, il secondo cinque risultati che le istituzioni finanziarie dovrebbero raggiungere per rafforzare la responsabilità e promuovere un comportamento etico.

Una cultura aziendale nuova

Welfare, benessere psicologico sul posto di lavoro, inclusività… La cultura aziendale vira negli ultimi anni sempre più decisamente verso un miglioramento di standard, ma anche verso una creazione di standard condivisi, orientati al benessere globale dei dipendenti e dirigenti e a un migliore bilanciamento vita/lavoro. 

Dall’intrattenimento all’industria tecnologica, le aziende si stanno riorientando verso nuovi standard lavorativi .

Quindi, perché concentrarci nello specifico sul settore finanziario?

“Cultura” come norme implicite

In un articolo su Forbes ho letto il parere di William Dudley, ex amministratore delegato della Federal Reserve Bank di New York. Dudley ha descritto la cultura come “le norme implicite che guidano il comportamento in assenza di regolamenti o regole di conformità”. 

Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, ha detto invece che la cultura è “ovunque e in nessun luogo”. 

Insomma, senza voler partecipare alla disputa medievale sugli universali, e quindi stabilire se la cultura esiste o meno, mi sento di assentire anche con Bailey: spesso non serve un codice scritto per affermare come una serie di comportamenti siano radicati in un gruppo sociale (in questo caso, in un ambiente lavorativo). Semplicemente, vengono messi in pratica.

Forse, e questo lo aggiungo io, il ruolo dell’arte e della letteratura è proprio questo, cogliere l’in-standardizzabile sotteso al modo in cui agiamo e ci comportiamo con i nostri simili.

Se è buona arte, senz’altro.Ma al di là di queste definizioni, vediamo come finanza e cultura aziendale coesistono e perché è fondamentale una loro interazione proficua.
(Continua)

Oggi ci sono i funerali di Stato della regina Elisabetta, ma dato che a noi interessa l’economia britannica, eviterò di addentrarci nel gossip.

Il regno di Elisabetta in dati 

Il PIL ha visto dei cali e dei boom molto importanti. La crisi finanziaria del 2008 – vedete la banca britannica Northern Rock – è stata uno dei problemi che hanno più impattato sul calo repentino che ha interessato la produttività di quell’anno.

Le nascite sono state favorite dai migranti, il che ha creato una società decisamente più plurale.

Il Commonwealth è cresciuto, dai 5 stati iniziali che ora sono 53. Parliamo di un impero britannico considerato grande a livello globale, con gli errori correlati al colonialismo che tutti conosciamo, e che specialmente per noi italiani privi di un corrispettivo sono ancora più evidenti – guarda un po’!

Le lauree femminili sono cresciute moltissimo dal 1950 a oggi.

I salari reali sono sempre riusciti a battere l’inflazione, tranne nell’ultimo periodo. Hanno sempre avuto più potere d’acquisto rispetto ai prezzi.

Se dovessimo fare una media della crescita dei salari, abbiamo un +2,27%. 

Per quanto riguarda l’import, la Cina sostituisce l’Europa. Dall’Europa occidentale arrivano gran parte delle importazioni ed esportazioni, e nel mentre decrescono Canada, Australia, Sri Lanka, Sudafrica e India.

Questi sono i fattori cambiati con il regno di Elisabetta II, che oggi salutiamo.

Nulla è meno conoscitivo e più affascinante del fenomeno statistico dell’overfitting. 

Ora che siamo in clima di elezioni politiche, nulla è più attuale, immersi come siamo in costanti previsioni, poll preventivi, sondaggisti, strategie enunciate in modo da cinico a sempre più accorato.

Ma rimaniamo ancorati alla realtà: non c’è davvero modo di sapere come andrà un’elezione. Il più fine analista e stratega politico non potrà infatti tracciare con precisione non solo i sommovimenti del conteggio di un sistema elettorale misto e difficilmente prevedibile dato che sono state eliminate le preferenze, ma anche la “pancia” degli indecisi.

Gli indecisi sono infatti difficilmente prevedibili.

E qui torniamo al fenomeno dell’overfitting.

Cosa significa overfitting

L’overfitting o sovradattamento è un termine della statistica che descrive un modello statistico molto complesso che sembra prevedere un fenomeno, ma in realtà si sta solo adattando ai dati osservati.

Ciò accade perché tale modello ha un numero eccessivo di parametri rispetto al numero di osservazioni, e come la scienza ci insegna, la conoscenza viene data da un connubio oculato tra empirismo e teoria.

È quindi evidente che l’overfitting sia un problema importante durante i sondaggi politici, così come in tutti gli schemi che ambiscono a essere previsionali. Non dobbiamo lasciare che le regole del nostro pensiero soverchino mai l’osservazione umile e scientifica della realtà.

Per quanto una persona conosca una lingua, ci sono termini che solo i madrelingua sanno pronunciare correttamente. Questa difficoltà si estende ad alcuni fonemi, gruppi vocalici o consonantici, ma quando parliamo di intere parole, allora esiste un termine specifico.

Cos’è lo shibbòleth

Esistono alcuni termini o intere frasi particolarmente complessi da pronunciare per il parlante non nativo, e si chiamano shibbòleth. Innanzi tutto, attenzione a non confondere lo shibbòleth con lo scioglilingua, difficile da pronunciare anche per i parlanti madrelingua. 

Il termine shibbòleth in realtà deriva dal secondo libro dei Giudici della Bibbia cattolica e significa in ebraico “spiga”. Ma ben più del suo significato è interessante il fatto che questo termine venisse usato come una sorta di parola d’ordine.

La storia

Infuria la battaglia tra Galaaditi ed Efraimiti.

Le armi sono quasi pari, il combattimento si svolge all’ultimo sangue, e alla fine i Galaaditi hanno la meglio.

Gli Efraimiti sono dunque in fuga, ma gli avversari non vogliono lasciarli scappare vivi.

Mentre gli Efraimiti stanno guadando il Giordano, i Galaaditi li bloccano chiedendo una parola d’ordine: il termine shibbòleth.

Impossibile da pronunciare per gli Efraimiti, che venivano così riconosciuti e uccisi durante la fuga.

Il ruolo sociale dello shibboleth

Può accadere che il parlante di una comunità linguistica sia totalmente all’oscuro del fatto di non saper pronunciare come si deve uno shibboleth, e questo evento può diventare macchiettistico e dare luogo a sipari divertenti.

In fondo l’imitazione degli accenti stranieri, di cui il nostro migliore cabaret è ricolmo, si basa principalmente sul fatto che ci sono shibboleth italiani impronunciabili per stranieri.