Continua dalle due puntate precedenti: Solo l’arte ci salverà e La responsabilità degli artisti.

I progetti artistici di tutti i tipi fanno parte del tessuto della nostra società/cultura e continuano ad essere tremendamente ispiratori, portando un forte messaggio e avendo la capacità di risuonare con un grande pubblico, non importa quale sia il mezzo.

È questo contesto che rende il lavoro in cui sono impegnato una piccola ma importante parte dell’enorme talento creativo che esiste in tutto il mondo.

Sono un forte sostenitore del fatto che nel nostro mondo di oggi, siamo tutti interconnessi in modi che non avremmo mai pensato possibili e che questo ci permette di cambiare il discorso pubblico su questioni critiche.

Arte e attivismo non si correlano subito

Naturalmente, non è un processo immediato. Ci vuole molta forza e convinzione per creare arte che possa promuovere un cambiamento sociale trasformativo.

L’intersezione delle arti e l’attivismo politico sono due campi definiti da un obiettivo condiviso di creare un impegno che sposta i confini, cambia le relazioni e crea nuovi paradigmi. Sia l’attivista che l’artista lavorano nelle sfide dell’ignoto e dell’imprevedibile, mai veramente in grado di determinare il risultato e sempre in discussione se c’è altro da fare.

Questa sperimentazione forma anche l’essenza di ciò che può essere il motore del successo e della motivazione verso un vero cambiamento, sia che siamo immersi in una specifica causa sociale o in un movimento di pace globale, componendo una partitura originale, condividendo una storia attraverso l’intaglio di una scultura, o usando la performance per evidenziare un messaggio critico.

Non è sempre questione di contesto

Qualunque sia il contesto al quale facciamo riferimento, la pratica di comprendere l’importanza del nostro impegno creativo è una fonte di potenziale cambiamento di per sé, e uno spazio in cui si può trovare una preziosa intuizione attraverso la riflessione e la condivisione.

Sembra una premessa molto ampia, ma è da questa che deve prendere le mosse il discorso su arte e attivismo.

 

 Continua dal precedente articolo “Solo l’arte ci salverà?”.

La responsabilità degli artisti

Credo che una delle maggiori responsabilità degli artisti – e l’idea che gli artisti abbiano delle responsabilità può sorprendere alcuni – sia quella di aiutare le persone non solo a conoscere e capire qualcosa con la mente, ma anche a sentirlo emotivamente e fisicamente.

Facendo questo, l’arte può mitigare l’effetto di intorpidimento creato dalla sovrabbondanza di informazioni che abbiamo di fronte oggi, e motivare le persone a trasformare il pensiero in azione.

Come nelle arti di regime, rinunciare all’egocentrismo può essere una chiave per rendere di nuovo l’arte la vera protagonista del mercato d’arte, e della fruizione artistica di massa.

Arte e impegno

Impegnarsi con l’arte non è semplicemente un evento solitario. Le arti e la cultura rappresentano una delle poche aree nella nostra società dove le persone possono riunirsi per condividere un’esperienza anche se vedono il mondo in modi radicalmente diversi. La cosa importante non è che siamo d’accordo sull’esperienza che condividiamo, ma che consideriamo che valga la pena condividere un’esperienza.

Nell’arte e in altre forme di espressione culturale, il disaccordo è accettato e abbracciato come un ingrediente essenziale. In questo senso, la comunità creata dalle arti e dalla cultura è potenzialmente una grande fonte di ispirazione per i politici e gli attivisti che lavorano per trascendere il populismo polarizzante e la stigmatizzazione di altre persone, posizioni e visioni del mondo che è tristemente così endemica nel discorso pubblico oggi.

Vorrei solo che non si disdegnasse con troppa faciloneria questa visione. In fondo, l’arte nasce come apotropaica, religiosa, celebrativa. Continua nelle religioni di stato e nell’affermazione del potere, e tutt’oggi è spesso simulacro di potere – monetario e d’influenza perlopiù, ma pur sempre potere.

Perché quindi non potrebbe anche essere politica?

Melancolia e introspezione, queste sono le due grandi parole chiave di questo strano periodo.

Ma, universale benché non univoca, l’arte è sempre lì, a cercare di cambiare le nostre prospettive, il nostro senso estetico.

Il nostro modo di concepire il mondo.

Mi vedrete in una veste celebrativa che – lo ammetto – non mi è proprio consona. Però, ho pensato, ogni tanto bisogna dare credito a chi se lo merita. Bisogna fermarsi, ascoltare il VolkGeist e cercare di porre rimedio alla barbarie che costantemente ci assilla.

Siamo davvero una comunità gobale?

Una delle grandi sfide di oggi è che spesso non ci sentiamo toccati dai problemi degli altri e da questioni globali come il cambiamento climatico, anche quando potremmo facilmente fare qualcosa per aiutare. Non sentiamo abbastanza fortemente che siamo parte di una comunità globale, parte di un noi più grande.

Dare alle persone l’accesso ai dati il più delle volte le fa sentire sopraffatte e scollegate, non responsabilizzate e pronte all’azione.

Solo l’arte fa la differenza

È qui che l’arte può fare la differenza. L’arte non mostra alle persone cosa fare, ma impegnarsi con una buona opera d’arte può connetterti ai tuoi sensi, al corpo e alla mente. Può far sentire il mondo. E questa sensazione sentita può stimolare il pensiero, l’impegno e persino l’azione.

Ogni artista forse sogna di viaggiare in molti Paesi del mondo. Un giorno può trovarsi di fronte a un pubblico di leader mondiali.

Il giorno successivo, scambiare pensieri con un ministro straniero e il giorno dopo discutere la costruzione di un’opera d’arte o di una mostra con artigiani locali.

La maggior parte degli artisti si sa commuovere per un’opera d’arte. Quando l’opera arriva, tutti noi ci commuoviamo. Diventiamo consapevoli di una sensazione che non ci è sconosciuta, ma sulla quale non ci siamo concentrati attivamente prima. Questa esperienza trasformativa è ciò che l’arte cerca costantemente.

(continua)

Stiamo tirando le somme in questi giorni, in cui il periodo del primo lockdown sembra abbastanza lontano per trarre delle conclusioni di massima sulla storia dei consumi.

La domanda numero uno, quando si parla di eBook, è sempre stata: ma la gente si abituerà al nuovo supporto?

Non rimarrà viva una forma di predilezione nostalgica per le pagine fruscianti, profumate di stampa fresca?

Ebbene, la risposta che ci ha dato questo periodo di reclusione forzata è: forse no.

Lo dimostra chiaramente il caso Bruno Editore.

Il caso Bruno Editore

Come riporta l’Ansa, l’editore ha fatturato un 202% in più per la vendita di libri elettronici. Dai libri sulla crescita personale, a quelli tecnici, alla narrativa: quello sopra riportato è il dato delle vendite dei primi nove mesi del 2020, comparato allo stesso periodo nel 2019. 

Un crescita che lascia molto su cui riflettere, anche se, dal mio punto di vista, sarebbe più interessante vedere il tipo di titoli che vengono venduti. Personalmente, ritengo l’ebook un ottimo strumento, sicuramente più ecologico, anche se sussistono diversi dubbi circa lo smaltimento e l’approvvigionamento di risorse.

Ma non sono un esperto, per carità. Quel che conta però è anche l’esperienza unica e ineliminabile del lettore: per me, il libro è prima di tutto cartaceo. Il libro è un oggetto, che viene depositato su uno scaffale e lasciato lì. Un oggetto che accompagna la vita quotidiana, o lo studio, che ricorda momenti dell’infanzia o della prima giovinezza, o degli apici ideologici di qualche settimana prima.

Il processo di digitalizzazione del libro

Insomma, l’avvento dell’ebook, oltre a una rinnovata passione per alcuni temi abbandonati dalla filosofia e prima monopolizzati dalla religione (ad esempio, la crescita personale), significa proprio un’esperienza di fruizione diversa.

Forse i libri cesseranno di essere uno status. Chi della mia generazione non ha vissuto cosa significa “avere una biblioteca a casa”?

Forse la lettura dei libri diventerà quello che dovrebbe essere: una eco sulla persona, un positivo ritorno della lettura in tutti gli aspetti della vita.

Non sto dicendo che con il libro cartaceo non fosse così, e non sto dicendo che mi omologherò a questa tendenza.

Però, forse, stiamo assistendo a un vero e proprio ripensamento del concetto di crescita personale.

Spero di assistervi.

 

Dei fini analisti d’intelligence stanno senz’altro già lavorando a quest’enigma, ma vorrei smarcarmi per un attimo dal Dpcm, Covid e argomenti simili, perché davvero in questi giorni non se ne può più.

Quindi, mi concentrerò sui video che ho visto di recente in occasione del 75esimo anniversario della dittatura nella Corea del Nord.

Bombe e pianti

Innanzi tutto, una piccola nota per gli appassionati: Kim Jong Un non sembra morto, e nemmeno in coma, a differenza di quanto si vociferava. Anzi, è vivo e in ottima forma, tanto da accompagnare con le sue solite calde parole la mostra di un enorme missile balistico.

A deterrenza e autodifesa, dice il leader della Corea del Nord, ma nel sangue occidentale si scatenano sempre dei piccoli brividi, soprattutto considerando l’apparente volubilità del dittatore.

Soprattutto, perché a un certo punto del discorso inaugurale, il presidente si è messo a piangere e si è scusato per non essere riuscito a garantire la vita che aveva promesso a tutti i coreani.

La situazione diplomatica

Parole di amicizia sono state spese per la sorella Corea del Sud, il cui nuovo leader ha già incontrato Kim. 

Agli statunitensi, che pure Kim Kong-un ha già incontrato durante l’ultima visita di Trump, stavolta non sono state rivolte parole particolari. O meglio, non sono state rivolte minacce, il che è comunque un’ottima cosa.

Nonostante questo, non possiamo certo stare completamente tranquilli, perché le sanzioni statunitensi sono ancora in vigore, e un riavvicinamento economico e politico tra Nord Corea e Cina sembra sempre più plausibile. 

Quello che non sembra chiaro è se Kim Jong-un continuerà o meno a governare. Le lacrime potrebbero essere un segno di resa, un estremo saluto alla nazione… Non glie lo auguro assolutamente, sto solo formulando ipotesi.

In effetti noi civili percepiamo i risvolti di queste operazioni strategiche spesso solo dopo anni.

Quindi, staremo a vedere cosa ha in serbo per noi la Corea del Nord.

 

Ho visto di recente l’ultimo film di David Copperfield di Dickens al cinema con Hugh Laurie nel cast. 

Un  “La vita straordinaria di David Copperfield” – questo è il titolo originale – pop e multietnico per il regista scozzese Armando Iannucci.

Nonostante il cognome, lo stile del regista rispetta appieno la sua origine british. In primis, per l’ironia costante e sempre sottesa che accompagna tutti gli sketch di questa divertente commedia. 

In secondo luogo, per un gusto quasi iconografico nella resa di personaggi unici nel loro genere, “parlanti” perché interpretano precise virtù morali. La madre di David, la remissività, la zia (Tilda Swinton) il rigore, il padre, l’algidità. 

 David è interpretato da Dev Patel, che già ci aveva regalato una performance densa di pathos in The Millionaire.

Un David Copperfield drammatico, ma divertente

Qui, il suo ruolo è sempre drammatico, ma ben più scanzonato. Sicuramente, molto più scanzonato rispetto ad altri adattamenti di Dickens, cupi e con tinte fosche.

Dickens al cinema: al di là del tetro

In realtà, Iannucci conosce l’autore del romanzo e riesce a trasformarne la tetraggine – perché si parla in fondo di una storia reale di reale sfruttamento minorile – in una vicenda tutto sommato divertente.

E la sfida era difficile, visto che il grande pubblico ormai associa Patel prevalentemente al ragazzino indiano di The Millionaire. 

Il rischio principale, se si può parlare di rischio, era quello di un Oliver Twist alla Polanski, con inserti di duro realismo. In realtà, l’ironia era comunque sempre presente nel grande autore inglese, e non è facile per i moderni percepirne il reale impatto sul pubblico dell’epoca.

In generale, possiamo dire che nella figura dell’eccentrico padre dell’innamorata di David Copperfield (l’alcolista, per intenderci) abbiamo una prova del fatto che siamo stati in grado di percepire una forte tragicità, senza rinunciare a un gusto per la risata genuina.

Quando i personaggi gli nascondono il vino, i bicchieri, o il cestino dei liquori, c’è una vera e propria pantomima di caccia al tesoro. In realtà, parliamo di un personaggio tragico, che tragicamente compromette il destino della propria famiglia per il suo problema di intemperanza.

Ma, in fondo, poco importa: quel che importa è la generica e piacevole sensazione, quando arrivano i titoli di coda, di aver visto tutto sommato un bel film. Multietnico, anche. Ma un bel film.

Il tessuto imprenditoriale italiano e mondiale sta cambiando. Inutile sperare che tutto ritorni alla normalità presto: è probabile che, come le crisi economiche che hanno colpito la seconda metà dello scorso secolo, anche questa pandemia abbia strascichi lunghi.

È molto interessante seguire le strategie specificamente antivirus, che sono in corso da parte di aziende di diversi settori, per quanto loro compete. Dal tessile all’automobilistico, l’obiettivo è contenere il contagio attraverso il prodotto stesso, quindi parliamo di adattamenti tecnologici.

Se da una prospettiva macroeconomica il panorama di crisi per tutte le piccole e medie imprese comincia a diventare drammatico, soprattutto in alcuni settori, più da vicino è interessante fare una piccola rassegna delle idee delle aziende nel mondo, per vedere come hanno reinventato le proprie linee prodotto.

Questa sarà una rassegna tecnologica, e il meno possibile pubblicitaria. Inizio dall’automotive, e proseguo nei prossimi articoli con altri spunti che raccoglierò nelle mie ricerche.

L’automotive

La Hyundai ha ideato un sistema di sanificazione dell’abitacolo mentre il passeggero non è a bordo. La procedura avviene attraverso i raggi UV, e dovrebbe evitare il contatto tra i raggi, come è noto dannosi per l’essere umano, e le persone presenti in auto.

È evidente che la Corea voglia mantenere una buona posizione per quanto riguarda sia l’innovazione tecnologica, sia la lotta al virus.

Ma nell’automotive abbiamo anche diverse spinte da diverse case automobilistiche per migliorare la qualità dell’aria nell’abitacolo. I metodi erano già noti, e riguardano gli impianti di condizionamento e riscaldamento.

La Cina sta anche introducendo dei metodi di sanificazione all’ozono, l’elemento più utilizzato dai nostrani gestori di esercizi commerciali e ristoratori perché inodore, anallergico. 

L’ozono infatti si lega alle particelle, compresi agenti microbici e virali, e li porta a temperature che questi non possono sopportare. Non lascia residui tossici e non rischia di essere inalato, perché da quanto ho capito è estremamente volatile.

Insomma, il nostro destino è iniziare a portare una fialetta da viaggio piena d’ozono, come la dame ottocentesca memoria con i sali?

Chi lo sa. Proseguiremo nel prossimo articolo con qualche altra strategia. State connessi.

 

 

Nessuno ha mai allestito una Norimberga per le malefatte risorgimentali, di qualsivoglia parte politica, e quindi i Borbone a processo a Isernia non ci andarono mai realmente. Solo, si registrarono dei moti popolari filo-borbonici, e le conseguenti repressioni.

Questo è stato il pensiero degli organizzatori di un evento in cui mi sono imbattuto ieri, mentre facevo le mie ricerche per la scultura del bambino paleolitico, opera di un’artista francese, tornato in Italia ed ora disponibile alla visione.

Mente spulciavo le cronache locali alla ricerca della data di esposizione della bellissima scultura, a opera di una paleo-artista francese, mi sono imbattuto in un articolo di cronaca.

I Borbone a processo a Isernia: assolti

Vi do un po’ di contesto: nel lontano 2012, in seno alle consuete celebrazioni dell’Unità d’Italia, a Isernia si è svolto un convegno dal titolo curioso, che ho trovato pubblicizzato sulla pagina del Corriere

Il titolo era seguito da questa ulteriore precisazione: 

A Isernia dibattimento-convegno sul ruolo della dinastia ai tempi del Risorgimento. “Sono stati già sconfitti dalla Storia”.

Meraviglioso. Innanzi tutto, vorrei premettere, che senso ha fare un processo storico? Intendo, da questo momento in poi qualcuno si prenderà la briga di modificare la narrazione dominante, che racconta delle angherie dei Borbone? Cosa facciamo, tabula rasa e presentiamo una sommatoria degli episodi di violenze e abusi da entrambe le parti, e infine decidiamo il vincitore e il vinto?

Il processo a Isernia sembrava avere proprio questi connotati.

Non si vince mai

Per questo mi sento di accodarmi alla schiera dei moderati, e di non prendere parte al dibattito. A parte che ormai parliamo del 2012, e sono arrivato un po’ in ritardo. Ma poi, trovo il gioco della riabilitazione abbastanza disonesto. 

Mi spiego: nella storiografia capita spesso che una tesi, per essere notata, accolta, anche solo popolare, debba essere in qualche modo dirompente.

Purtroppo anche gli storiografi, che sono una razza solitamente pacata, non sono esenti dal sensazionalismo.

E quindi, la riabilitazione della parte offesa fa purtroppo parte della storiografia, che sembra dire “no, nella disciplina contemporanea non accettiamo più che la storia la scrivano i vincitori”.

Temo che il buon storiografo debba sì astenersi dal decretare vincitori e vinti nelle proprie pagine. Ma la Storia ha parlato.

E come hanno giustamente detto gli organizzatori del convegno: hanno già vinto i Savoia.

Quando ho parlato di scoperte archeologiche cinesi e dell’impatto che possono avere sulla politica, ingenuamente ho escluso l’Italia dall’equazione. O meglio, non ingenuamente, ma consapevolmente, per non creare inutili polemiche.

Però va detto, anche noi, quando si tratta di opere artistiche o archeologiche, abbiamo la “restituzione” facile.

Isernia – processo alla Francia che ci “restituisce” il bimbo paleolitico

Ho letto su un giornale cartaceo che la Francia, dopo aver detenuto per alcune analisi un dentino paleolitico ritrovato in località La Pineta a Isernia, lo rimanderà in Italia.

Dove merita di stare, e cioè nel Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia. 

Ma cosa ci faceva un dentino di ominide vissuto 600mila anni fa in Francia?

Qui l’orgoglio campanilista e filologico dell’amante dell’appassionato dell’archeologia potrebbe farsi alcune domande. Ci sono forse dei laboratori più attrezzati? C’è un team di ricercatori specializzato in dentini di ominidi, e abbiamo inviato il reperto là per avere ulteriori prove sulla sua provenienza?

No, molto meglio.

La figura del paleo-artista

Non parliamo di cantanti di musica leggera stagionati, eppure ancora sul palcoscenico. No, il paleo-artista, anzi LA paleo-artista, si chiama Élisabeth Daynès ed è una grande esperta di restituzione artistica di immagini tratte dai reperti storici.

Serve un esempio?

Pensate all’australopiteco Lucy che avete visto nei libri di scuola dei vostri figli o nipotini. Probabilmente, quell’immagine è una fotografia dell’opera dell’artista.

Basandosi sul reperto archeologico, su competenze genetiche e su una padronanza dei materiali raffinata, l’artista ha preso un dentino, e ne ha fatto un bimbo vero.

“Tornare” è meglio di “restituire”

A questo punto è evidente che il concetto di “restituire” politicizza inutilmente quella che è stata un’imposizione da lockdown. L’artista ha finito la sua opera, il dentino ha viaggiato tra team diversi.

Quest’estate entrambi i manufatti sono stati riconsegnati al Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia processo visibile dal 14 agosto dal grande pubblico, seguendo le normative di restrizione del Covid. 

Quindi, attenzione a capire il vero significato delle parole. E buona gita molisana!

 

Le ultime elezioni hanno fatto calare il differenziale Btp-bund, e vorrei spiegare perché è sceso lo spread.

In sostanza, l’impressione che gli investitori esteri hanno ricavato dal panorama italiano, è che la maggioranza di governo è ancora stabile, e probabilmente durerà.

Poco importa, come immaginerete, cosa ne pensa politicamente l’elettorato del Parlamento italiano.

Come è giusto che sia, si guarda alla tenuta del Governo, che di conseguenza darà stabilità anche alle riforme economiche.

Servirà sicuramente del tempo, dopo la vittoria del sì, per sistemare commissioni parlamentari e collegi.

Durante questo tempo, secondo gli investitori, è molto improbabile che cada il Governo.

Anche se ci si potrebbe mettere a questionare su quest’ultimo punto, è comprensibile la posizione, soprattutto se vista dall’esterno.

La stabilità dei governi italiani è stata fortemente minata, ultimamente, e quindi è comprensibile che ogni segnale di ripresa sia preso come un buon segnale, di ritorno alla normalità.

Perché è sceso lo spread, anche se forse non dovrebbe

Per chi è un analista politico più scafato, però, rimane difficile credere che la stabilità italiana, d’ora in poi, sarà garantita. 

Infatti, non siamo nuovi a cambi di bandiera anche nei momenti in cui la stabilità sembra data per assodata. Non farò riferimento a questioni specifiche, ma ci siamo capiti: quante legislature sono arrivate a fine mandato così come erano state formate a urne chiuse?

Quante volte, inoltre, un Governo è crollato per la mancata fiducia, e si è andati a elezioni anticipate?

Quindi, bene che lo spread sia tornato ai livelli di prima di marzo 2020. Lo spettro del lockdown è stato definitivamente assorbito, e speriamo che la situazione duri il più a lungo possibile.

In fondo, il mio compito non è giudicare cosa vogliono fare gli investitori esteri. Io analizzo, confronto, e traggo conclusioni. Spero che facciate altrettanto, e che badiate ai vostri investimenti.