Perché il sacerdote a Nemi era chiamato il re del Bosco?

Perché si definiva regale la sua carica?

Anticamente, l’abbinamento di un titolo regale agli emblemi sacerdotali era usanza comune sia in Italia che in Grecia.

A Roma e in altre città laziali il sovrane era anche responsabile dei sacrifici. Sua moglie aveva il titolo di Regina dei sacri riti. In diverse entità governative antiche iI magistrato annuale dello Stato era chiamato il re, e sua moglie la regina.

Entrambi svolgevano mansioni religiose. Sempre in Grecia, molte altre democrazie avevano titolari con mansioni, per quanto ne sappiamo, di carattere religioso, tutte riguardanti il focolare pubblico dello Stato.

Vari stati Greci avevano molti di questi sovrani titolari contemporaneamente in carica, addirittura.

Una teoria analoga circa l’origine dei re-sacerdoti prevaleva a quanto sembra anche in Grecia – è una teoria non improbabile, che vediamo anche nell’esempio di Sparta, l’unico stato Greco che mantenne una forma monarchica di governo. 

A Sparta le funzioni sacrificali erano prerogativa dei Re in qualità di discendenti degli Dei: uno dei due sovrani di Sparta manteneva la carica del sacerdozio di Zeus Lacedemone, l’altro di Zeus Celeste. Questa combinazione della funzione sacerdotale con l’autorità regale è piuttosto comune, al punto che in Asia minore ad esempio esistevano vari grandi centri religiosi il cui comando ricadeva su Pontefici che detenevano a un tempo il potere temporale e quello religioso, come i Papi della Roma medievale.

Ai tempi del paganesimo inoltre i sovrani Teutonici ricoprivano anche il ruolo di sommi sacerdoti esercitando il potere temporale e religioso insieme, di nuovo.

L’imperatore della Cina celebrava sacrifici pubblici le cui norme erano minuziosamente regolate dei libri rituali. Anche il re del Madagascar era sommo sacerdote nel regno.

Tutti conosciamo il ruolo taumaturgico dei re, che va oltre il semplice raccontino mitico e si declina in tutta una serie di convinzioni popolari molto radicate. Re sacerdoti e sacerdoti re sono figure che si compenetrano, e nelle quali verifichiamo una diversa dominanza di una delle due figure, ma sempre una certa interdipendenza.

Ci è concesso analizzare scientificamente la magia?

Qualcuno ci ha provato, identificando due principali criteri quando si parla di magia. Il primo è che il simile genera il simile, ovvero l’effetto somiglia alla causa.

Il secondo è che le cose  che sono entrate in contatto reciproco una volta continueranno poi a replicare tale contatto. Nel primo caso abbiamo la magia imitativa, nel secondo la magia che potremmo chiamare contagiosa (spieghiamo meglio con degli esempi).

Il mago ritiene che gli stessi principi che applica nella pratica della sua arte regolino l’attività della natura inanimata. In altri termini parte dal basso, con il presupposto che le leggi magiche siano delle pseudo norme che si possono applicare universalmente e non siano limitate alle azioni umane.

Magia come protoscienza

La magia è un sistema spurio di legge naturale e una fallace guida di condotta, insomma una falsa scienza, o meglio una “protoscienza”.

La bambolina voodoo

Ad esempio la fabbricazione di una bambolina voodoo a somiglianza di una persona che si desidera colpire infilzando il fantoccio con lo spillone è un esempio di magia imitativa. La bambolina assomiglia in qualche modo al nostro nemico giurato.

Se a questa bambolina voodoo vengono aggiunti nei capelli della vittima oppure dei suoi dati personali, si tratta di magia contagiosa perché questi elementi sono stati in contatto con il corpo della persona reale.

Questa distinzione è fatta da James George Frazer, e personalmente l’ho trovata geniale. Esplica infatti appieno il complesso rapporto che abbiamo tra spiegazione e raffigurazione dei fenomeni, e il timore che abbiamo del contagio e della vicinanza con elementi benigni o maligni.

La magia, nonostante la forte scientificità che ci permea, è ancora presente nella mente di molti di noi.

Non mi sentirei di parlare di recrudescenza dell’inconscio o di stupidità, ma piuttosto di una pendenza che è presente che noi in modo atavico, incontrollabile.

In questo senso, i segni zodiacali che omologano caratterialmente diversi individui sulla base della comunanza per segno appartengono ancora la magia omeopatica. Lo stesso principio della farmacologia omeopatica rientra in questa prima categoria.

Sulla magia contagiosa, in un’epoca post covid-19 non mi sento di esprimermi perché già attorno a me il termine “contagi” è largamente abusato.

Torneremo presto a parlare dei Re Sacri in boschi di Diana, quindi vi invito a rimanere sintonizzati! 

 

Gli studiosi sapevano che l’opera su Guillaume d’Orange e il sanguinoso assedio della sua città esisteva, ma fino ad ora credevano che fosse andata completamente perduta.

Il frammento ritrovato appartiene alla Chanson de Guillaume d’Orange, un poema francese del 12° secolo, precedentemente creduto perso per sempre.

Invece, nella Bodleian Library di Oxford, un’accademica l’ha ritrovato, quasi per caso.

Tamara Atkin, della Queen Mary University di Londra, stava facendo ricerche sul riutilizzo dei libri durante il XVI secolo, quando si è imbattuta nel frammento del finora perduto, che era infilato nella rilegatura di un libro pubblicato nel 1528. La pergamena e la carta erano costose all’epoca, e i manoscritti e i libri indesiderati venivano spesso riciclati.

Le notizie fino a oggi

L’opinione comune era che il poema, che proviene da un ciclo di chansons de geste su Guillaume d’Orange, esistesse, ma prima non c’erano prove fisiche che questo fosse vero. Il frammento ha solo 47 righe, ma prova l’esistenza di un poema che si pensava fosse stato completamente perso.

La Chanson de Guillaume d’Orange

Il poema è ambientato nel IX secolo, durante il regno di Luigi il Pio, figlio ed erede di Carlo Magno. Atkin ha detto che mentre si crede che sia stato composto alla fine del XII secolo, il frammento stesso proviene da una copia fatta in Inghilterra alla fine del XIII secolo.

Bertram sta chiedendo aiuto al re per alleviare l’assedio di Orange, una città nella valle del Rodano, descrivendo le terribili condizioni dell’assedio. 

“Nelle parti successive del frammento lo sentiamo rimproverare la regina (a un certo punto la chiama anche ‘pute russe’ o ‘puttana dai capelli rossi’), che si è opposta al fatto che suo marito guidasse un esercito di soccorso verso sud”, ha detto Atkin in un’intervista al The Guardian.

Un pezzo di considerevole importante per gli studiosi dell’epoca, e per tutti gli altri forse un interessante nuovo roman le cui gesta epiche immaginare.

Rieccoci a parlare di uccisioni sacrificali, di Diana Nemorense, Virbio e del vero volto di Ippolito, che tutti conosciamo per la Fedra di Seneca e di Euripide ma che nasconde in realtà molti segreti.

Secondo il filo del ragionamento che abbiamo seguito finora, e che segue anche James Frazer, Virbio o meglio Ippolito diventa così lo sposo della dea Artemide o Diana, nonché il sovrano di Nemi.

Come lui, anche i successivi dei del Bosco incontrano una fine violentissima, come abbiamo raccontato quando abbiamo parlato della foresta di Nemi. 

A questo punto Virbio diventa il sacerdote trucidato dal suo successore, e la dea viene personificata nientemeno che dall’albero. Ancora oggi in India permane l’usanza di sposare fisicamente uomini e donne a un albero, quindi potrebbe essere una pratica comune anche nell’antico Lazio.

Riepilogo

Facciamo un breve riassunto di quanto abbiamo detto finora: il culto di Diana nel suo recinto Sacro di Nemi aveva u’enorme importanza e risaliva ad epoche immemorabili. Diana era adorata in quanto dea dei Boschi, delle Creature selvatiche, del bestiame domestico e dei frutti della Terra, in grado di aiutare le partorienti e di dispensare figli all’umanità.

Il suo fuoco sacro era custodito dalle vergini perennemente acceso, in un tempio circolare all’interno del Recinto. Associata a lei stava la Ninfa Egeria, che a volte assumeva la funzione di soccorritrice delle partorienti e che si riteneva si fosse congiunta con un antico re di Roma nel recinto sacro.

Possiamo concludere che la stessa Diana ebbe un compagno di nome Virbio, che fu come Adone per Venere o Atti per Cibele. In epoca storica questa vicenda è rappresentata probabilmente da sacerdoti nominati dal re dei Boschi che venivano uccisi dai loro successori a fil di spada.

In conclusione

Vi sembra una carrellata di nozioni scollegate tra loro?

Devo ammettere che ancora non è chiara nemmeno a me l’origine dell’uccisione rituale nei boschi di Nemi. Quello che però mi è chiaro congiungendo tutti questi dettagli diversi è che esiste una sorta di archetipo del re sacerdote che si ripropone in varie epoche e sotto varie vesti.

Sarà di questi sacerdoti che parleremo nelle prossime puntate di storia e mitologia antica.

Abbiamo parlato nell’ultima puntata di mitologia greca e uccisione rituale di Vibio la divinità coesistente con quella di Diana Nemorense nella foresta di Nemi.

Abbiamo parlato spesso di Ippolito, che tutti conosciamo principalmente per la Fedra di Euripide e di Seneca. Ma chi è in realtà Ippolito?

Amante mortale

Fu stata avanzata l’ipotesi che nel giovane Ippolito amato da Artemide, stroncato nel fiore degli anni e pianto ogni anno nella sua nativa Trezene, si possa riconoscere uno di quegli amanti mortali prediletti da una divinità di cui è ricca la religione antica. Il più famoso è Adone.

Si sostiene che la rivalità tra Artemide e Fedra per l’amore di Ippolito riproduca sotto nomi differenti la rivalità tra Afrodite e Proserpina per l’amore di Adone. Fedra in fondo è pur sempre un duplicato di Afrodite.

Questa teoria probabilmente non fa torto a Ippolito e non fa porto nemmeno ad Artemide. Quest’ultima era originariamente la grande dea della fertilità è colei che rende fertile la natura deve essere essa stessa fertile. Insomma, per essere fertile deve avere uno sposo.

Probabilmente Ippolito nel suo natio santuario situato a Trezene non era nient’altro che lo sposo di Artemide.

Trezene, patria di Ippolito

Prima del matrimonio i giovani e le giovani di Trezene offrivano le proprie ciocche recise al dio, e questo avrebbe cementato la sua Unione con la dea, avrebbe promosso la fertilità della terra, del bestiame e della famiglia. 

La tragica morte del giovane Ippolito, come raccontata anche ritualmente a Trezene, presenta varie analogie con racconti simili di altri giovani belli e mortali che pagarono con la vita la breve estasi d’amore con una dea immortale.

Probabilmente quegli infelici amanti non furono sempre solo figure mitiche e le varie leggende che ravvisano il loro sangue nella viola purpurea, nell’anemone scarlatto o nello splendore cremisino della Rosa, non erano solo poesie della gioventù della bellezza, fuggevoli come i fiori dell’estate. Erano piuttosto fiabe, che racchiudevano una più profonda filosofia sul rapporto fra la vita dell’uomo e della natura, una triste filosofia da cui prese origine una tragica usanza.

Siete curiosi di sapere di quale usanza sto parlando?

Ve lo rivelerò nella prossima puntata.

Nella scorsa puntata abbiamo parlato di Virbio, una delle altre divinità del bosco di Nemi in cui si praticava l’uccisione rituale dei sacerdoti in nome della dea Diana Nemorensis.

Una storia inventata

La storia inventata per giustificare il culto di Virbio vicino a quello della Diana nemorensis è del tutto priva di fondamento storico. Si tratta di un mito elaborato per spiegare le origini di un rituale religioso e che ha come unico fondamento analogie reali e immaginarie che si trovano in quel rituale. Infatti non si capisce a chi sia stata attribuita la paternità dei culti nemorensi.

A Oreste o a Ippolito?

Certo, queste giustificazioni storiche di questi fatti inventati ci danno la cifra di quanto sia antico il rituale e di quanto si perda nella notte dei tempi.

L’opinione di Catone il Vecchio

Una versione più storica è sostenuta da Catone il vecchio, che parla dell’istituzione del Bosco sacro a Diana da parte di un certo Egerio Bebio o Levio, di Tuscolo. Fu dittatore latino per l’incarico degli abitanti di Paesi confinanti.

Il santuario sarebbe stato antichissimo, risalente al 495 avanti Cristo, anno in cui Pomezia fu messa a Ferro e Fuoco dei romani e scomparve dalla storia.
È però insolito pensare che una norma così barbarica e cruenta sia stata istituita da un consesso Civile con quello dei popoli latini. Probabilmente era una regola tramandata di generazione in generazione da un’entità anteriore alla memoria umana, quando l’Italia era ancora uno stato primitivo.

Ricordate il detto in Latino “vi sono molti Mani ad Ariccia”?

Alcuni spiegano il detto affermando che Egerio fu progenitore di una lunga e illustre schiatta, mentre altri ritengono che il detto si riferisca alla presenza in Ariccia di molta gente brutta e le forme, dove Manius è Mania lo spauracchio per i bambini, una sorta di uomo nero. Un autore satirico romano chiama Manio il mendicante che sosta sulle pendici di Aricia in attesa dei Pellegrini.

Interpretazioni diverse

Tutte queste interpretazioni diverse, e questa strana discrepanza fra Egerio di Ariccia e Levio di Tuscolo, oltre alla somiglianza dei due nomi con quello della mitica Egeria, tutti questi dettagli suscitano un certo sospetto. Non possiamo comunque rifiutare quello che dice Catone il vecchio, quindi possiamo considerare questa costruzione come una sorta di restauro o meglio rimessa in attività.
Questa vicenda ci spiega ancora una volta come per interpretare i miti classici serva un occhio che va oltre quello dell’archeologo e oltre a quello dell’antropologo.

Serve una visione d’insieme.

Un’altra divinità del Bosco di Nemi, che condivideva con la temibile Diana, era Virbio.

Virbio

Si ritiene che Virbio fosse Ippolito, il giovane eroe greco casto e bello che aveva appreso l’arte venatoria dal centauro Chirone e trascorreva la vita nei boschi a caccia di belve.

La sua unica compagna era la Vergine cacciatrice Artemide, l’equivalente greco di Diana. Orgoglioso e pago della sua compagna Divina, Ippolito disdegnava le donne, e proprio questa fu la sua rovina.

Afrodite, invaghita si di lui è sdegnata dalla sua indifferenza per l’amore, fece innamorare di lui la matrigna Fedra. Tutti conosciamo la tragica storia: quando Ippolito respinse le avance della matrigna, lei per vendetta lo accusò falsamente presso suo padre Teseo di molestie. Teseo credette alle menzogne di Fedra e si rivolse al padre Poseidone per vendicare l’affronto. Ippolito stava guidando il proprio carro lungo le rive di un Golfo, quando un toro feroce uscì dalle onde direttamente contro di lui e lo travolse.

Cosa c’entra la dea Diana con Virbio?

La dea Diana amava Ippolito profondamente, dunque alla sua morte convinse il medico Esculapio riportare in vita il giovane Cacciatore. Giove era sdegnato perché un mortale era tornato dal regno dei morti e scaraventò l’incauto medico nell’Ade.

Diana riuscì però a nascondere almeno Ippolito in una nube e cammuffò i suoi lineamenti rendendolo più vecchio. Lo portò nelle valli di Nemi affidandolo alla Ninfa Egeria perché vivesse lì sotto il nome di Virbio nel cuore della foresta italica. Dal suo santuario  vennero banditi i cavalli perché furono i cavalli a uccidere Ippolito.

Virbio ebbe anche un figlio omonimo che combattè a fianco dei Latini nella guerra contro Enea e i Troiani. Si tratta di una divinità locale molto diffusa nella penisola italica, che compare anche in Campania e in altri boschi.

Alcuni ritenevano che gli fosse il sole, in realtà si tratta di una divinità giovane e maschile parallela a quella di Atti che si associa a Giunone, Ectonio con Minerva e Adone con Venere.

Ritroviamo Virbio/Ippolito il 13 agosto come Sant’Ippolito, martire trascinato dai cavalli. Per chi conosce molto bene la festa di Nemi, il 13 agosto è la data riconoscibilissima della festa dedicata a Diana.

Tutto questo è molto interessante. Peccato che sia falso: questa non è l’origine dell’uccisione rituale dei sacerdoti nella foresta di Nemi.

(continua)

Vorrei riportare una notizia che ho trovato sulla CNN, e che ha svoltato la mia giornata.

Visto che di recente ho parlato in toni entusiastici di una Salomé rappresentata in un cimitero, torno al cimitero con una festa della birra. Di per sé la festa si era tenuta sul sagrato di una chiesa inglese, la St- Mary di Stockton-on-Tees.

Festività tradizionali o culto dei morti? 

Dalla CNN:

Le fotografie hanno scatenato una tempesta di rabbia sui social media, con i residenti sconvolti che hanno inondato un gruppo Facebook di notizie locali con i loro commenti.

Uno ha scritto: “Questo è un comportamento vergognoso, non solo da parte delle persone coinvolte ma dalla chiesa per aver permesso che questo accadesse. I cimiteri sono luoghi in cui le persone rendono omaggio e ricordano i loro cari, non sono giardini della birra, e quelle lapidi non sono certo sgabelli o tavoli. Qui c’è bisogno di scuse pubbliche”.

Un altro ha detto: “Perché non potevano sedersi sul verde, che è appena fuori, invece che sulle tombe? Penso che sia spaventoso… Che totale mancanza di rispetto per i defunti e le loro famiglie”.

E qualcun altro ha scritto: “Sarei molto arrabbiato se avessi una famiglia sepolta lì”.

Non tutte le risposte sono state negative, tuttavia. Un commentatore ha scritto: “Oh, per l’amor di Dio, le persone si stanno riunendo per divertirsi, sono sicuro che (Dio faccia riposare le loro anime) le persone saranno felici di essere parte di una celebrazione e di un momento felice, per favore godiamoci la vita”.

Un altro ha sottolineato: “La tomba nella foto risale al 1740. Non riesco a capire il vetriolo che c’è qui contro la gente nella foto”.

La difesa istituzionale

Difendendo l’evento, il vicario di St. Mary, il reverendo Martin Anderson, ha detto che era stato in parte organizzato per raccogliere fondi per le riparazioni dell’edificio storico. Tuttavia, si è scusato per qualsiasi turbamento.

Scrivendo sulla pagina Facebook della chiesa lunedì mattina, Anderson ha detto: “Negli ultimi giorni le nostre porte erano aperte ancora una volta ai membri della nostra comunità locale, giovani e vecchi, che sono venuti a godersi la nostra Festa della Birra, a sostenere il business locale e a passare del tempo con amici vecchi e nuovi.

“Attraverso questo siamo stati anche in grado di generare fondi per aiutare a mantenere il nostro bellissimo edificio, oltre ad offrire uno spazio per l’amicizia e la comunità.

 

Se pensiamo a una scenografia ideale per la Salomè di Oscar Wilde certo non ci immaginiamo un cimitero monumentale. Eppure è proprio qui che si terrà lo spettacolo teatrale del capolavoro di Wilde: parlo del cimitero militare Germanico del Passo della Futa, al confine tra le regioni Toscana ed Emilia Romagna.

 Nella messinscena che si svolgerà qui canteranno la Soprano Stefania Renieri e l’arpista Annamaria De Vito.

La caratteristica principale di questa Salomè un po’ più magniloquente sarà l’assoluta novità della rappresentazione: si tratta di una messinscena itinerante, che è stata resa tale per consentire di scegliere una scenografia naturale per ogni diverso momento del dramma. La regia è di Filippo Frittelli.

Quando

Il 19 e il 26 ottobre alle 16.

Dove

Al cimitero militare Germanico del Passo della Futa.

Dopo essermi chiesto se l’ebook supererà il libro cartaceo, i dati sembrano suggerire una risposta un po’ più precisa rispetto alle solite speculazioni nel caso.

La risposta la svela una ricerca della fondazione Openpolis.

Quanto leggono gli italiani

Almeno il 40,6% degli italiani ha letto almeno un libro nel 2018, un dato in calo, rispetto al 2007, di 2,5 punti percentuali.

La fascia d’età tra i 35 e i 54 anni è stata quella più colpita con un calo di ben 5 punti percentuali. 

Altro trend negativo, anche se più contenuto, è quello che si riscontra tra i minori, passati da quota 53,7% nel 2007 al 52,3% nel 2018. Una crescita si registra invece nella fascia 55-74, dove le persone ad aver letto almeno un libro in 12 mesi sono aumentate di quasi 5 punti percentuali in 10 anni.

Il ruolo degli ebook

Ho scoperto da questa indagine che più dell’8% di persone legge almeno un ebook all’anno, con una distribuzione diversa a seconda delle diverse zone d’Italia. “Vincono” le regioni del nord-ovest, tra parentesi, e la fascia d’età tra i 18 e i 34 anni.

Quindi, non parliamo certo di una preponderanza del mercato dell’e-book sul cartaceo, per la gioia degli analogici presenti in sala.

Bene ma non benissimo

Non parliamo certo di numeri confortanti soprattutto considerando i benefici inenarrabili della lettura. Parlo di narrativa, ma anche di saggistica. Non intendo solo evidenziare l’importanza di istruirsi sul mondo circostante, ma anche combattere l’analfabetismo funzionale, variare il proprio punto di vista, entrare in contatto con storia, culture, ma anche nozioni che possono tornare utili a livello di accrescimento personale e quindi anche, tangenzialmente, in senso carrieristico.

 

Un dato positivo è l’aumento probabile dell’1% dei lettori di libri, grazie al primo lockdown. Una tendenza che non sappiamo se si conserverà in futuro. 

Ma speriamo!