Mi sono poi scordato di aggiornare lo status del numero chiuso alle facoltà umanistiche alla Statale di Milano. Ne parlavo a settembre in questo intervento.
Vinto il ricorso al Tar, la facoltà ha deciso di non appellarsi al Consiglio di Stato sul numero chiuso.
Il numero dei partecipanti è stato così mantenuto aperto, come negli anni precedenti, per i corsi di laurea in Filosofia, Lettere, Scienze dei Beni culturali, lingue e letterature straniere, Storia, Scienze umane dell’ambiente, del territorio e del paesaggio. Esultanza dei collettivi universitari a parte, non sembra che in Senato Accademico fosse disposto a retrocedere, almeno a quanto si evince dai giornali.
Piuttosto, la necessità di garantire il regolare svolgimento delle lezioni ha avuto la meglio, la contingenza ha sopravanzato l’idea. Ma l’idea permane, solo penso avrà bisogno di un contraltare nazionale, per ora assente (il ministro Fedeli ha infatti mostrato assenso più verso la riapertura che altro).
Non sono incline all’appello accorato, ma riflettiamo quanto sia l’ammontare di capitale umano che si forma dietro quei portoni. Il numero chiuso renderebbe professionalizzanti dei corsi di studi che non sono nati per esserlo. Perché non mettere l’onesta premessa che “qui si studia per migliorare le proprie persone”? Capisco la frustrazione di non ottenere una adeguata remunerazione dopo anni di studio. Ma limitare il sapere? Se io volessi iscrivermi a Filosofia domani? Non ho necessità professionalizzanti, voglio solo avere i migliori insegnanti per veicolarmi la scuola di Francoforte, l’idealismo, voglio magari dare una veste strutturata all’ultimo libro che ho letto.
E’ una parzialissima analisi, come la precedente. Ma non può che suonarmi sospetta questa chiusura di numero, sospetta per il decremento della qualità globale dell’istituto universitario della prestigiosa Statale di Milano.
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