L’inchiesta è una forma di giornalismo investigativo rischiosa e complessa, la pazienza e la capacità di cogliere l’attimo è fondamentale, soprattutto per i fotografi che se ne occupano. Il ruolo dei fotografi nelle inchieste è fondamentale e il loro ruolo credo ci abbia affascinati tutti in passato, condensare la loro capacità artistica in un attimo, con attrezzature complesse come teleobiettivi e grandangolari su macchine di metallo, fantastico. Ora che noi tutti abbiamo la possibilità di scattare centinaia di foto senza alcun costo e girare video senza apparecchiature specializzate, si parla con maggiore insistenza di fotogiornalismo, di Citizen Journalism, di gente comune che si trova nelle condizioni di documentare un fatto.
Molte di queste fotografie ora sono vera e propria storia. Chi non si ricorda della famosa foto scattata da Will Counts che ritraeva una delle prime studentesse afroamericane che, nell’ingresso a scuola, dovette affrontare la discriminazione dei compagni? La durissima foto vincitrice del Pulizer con il bambino e l’avvoltoio di Kevin Carter, che denunciava la situazione di malnutrizione in Sudan? La cruda fotografia di Nik Ut che rappresenta l’uso di Nalpalm in Vietnam? Il dolce bacio di Eisenstaedt come segno della fine della seconda guerra mondiale? O ancora la rappresentazione della protesta in piazza Tienanamen di Widener? Foto piene di pathos ed emozione senza alcun dubbio, impresse nella mente di tutti.
La fotografia d’inchiesta è considerabile arte?
Credo sia lampante che la maggior parte di queste foto siano entrate nella vita di tutti noi, anche se nati in epoche diverse, anche se si tratta di fotografie che per alcuni rappresentano un passato lontano. Questo tipo di fotografia, come l’arte suscita emozioni fortissime. Rappresentano gioia, disperazione, anche la morte. Come non farle entrare nel mondo artistico quindi? Personalmente non credo che la fotografia possa essere considerata solo un mero strumento. Foto come queste ne sono l’esempio. Superano barriere culturali, linguaggi, epoche, trasmettono emozioni, proprio come è scritto nel DNA dell’arte.
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