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Melancolia e introspezione, queste sono le due grandi parole chiave di questo strano periodo.

Ma, universale benché non univoca, l’arte è sempre lì, a cercare di cambiare le nostre prospettive, il nostro senso estetico.

Il nostro modo di concepire il mondo.

Mi vedrete in una veste celebrativa che – lo ammetto – non mi è proprio consona. Però, ho pensato, ogni tanto bisogna dare credito a chi se lo merita. Bisogna fermarsi, ascoltare il VolkGeist e cercare di porre rimedio alla barbarie che costantemente ci assilla.

Siamo davvero una comunità gobale?

Una delle grandi sfide di oggi è che spesso non ci sentiamo toccati dai problemi degli altri e da questioni globali come il cambiamento climatico, anche quando potremmo facilmente fare qualcosa per aiutare. Non sentiamo abbastanza fortemente che siamo parte di una comunità globale, parte di un noi più grande.

Dare alle persone l’accesso ai dati il più delle volte le fa sentire sopraffatte e scollegate, non responsabilizzate e pronte all’azione.

Solo l’arte fa la differenza

È qui che l’arte può fare la differenza. L’arte non mostra alle persone cosa fare, ma impegnarsi con una buona opera d’arte può connetterti ai tuoi sensi, al corpo e alla mente. Può far sentire il mondo. E questa sensazione sentita può stimolare il pensiero, l’impegno e persino l’azione.

Ogni artista forse sogna di viaggiare in molti Paesi del mondo. Un giorno può trovarsi di fronte a un pubblico di leader mondiali.

Il giorno successivo, scambiare pensieri con un ministro straniero e il giorno dopo discutere la costruzione di un’opera d’arte o di una mostra con artigiani locali.

La maggior parte degli artisti si sa commuovere per un’opera d’arte. Quando l’opera arriva, tutti noi ci commuoviamo. Diventiamo consapevoli di una sensazione che non ci è sconosciuta, ma sulla quale non ci siamo concentrati attivamente prima. Questa esperienza trasformativa è ciò che l’arte cerca costantemente.

(continua)

Dei fini analisti d’intelligence stanno senz’altro già lavorando a quest’enigma, ma vorrei smarcarmi per un attimo dal Dpcm, Covid e argomenti simili, perché davvero in questi giorni non se ne può più.

Quindi, mi concentrerò sui video che ho visto di recente in occasione del 75esimo anniversario della dittatura nella Corea del Nord.

Bombe e pianti

Innanzi tutto, una piccola nota per gli appassionati: Kim Jong Un non sembra morto, e nemmeno in coma, a differenza di quanto si vociferava. Anzi, è vivo e in ottima forma, tanto da accompagnare con le sue solite calde parole la mostra di un enorme missile balistico.

A deterrenza e autodifesa, dice il leader della Corea del Nord, ma nel sangue occidentale si scatenano sempre dei piccoli brividi, soprattutto considerando l’apparente volubilità del dittatore.

Soprattutto, perché a un certo punto del discorso inaugurale, il presidente si è messo a piangere e si è scusato per non essere riuscito a garantire la vita che aveva promesso a tutti i coreani.

La situazione diplomatica

Parole di amicizia sono state spese per la sorella Corea del Sud, il cui nuovo leader ha già incontrato Kim. 

Agli statunitensi, che pure Kim Kong-un ha già incontrato durante l’ultima visita di Trump, stavolta non sono state rivolte parole particolari. O meglio, non sono state rivolte minacce, il che è comunque un’ottima cosa.

Nonostante questo, non possiamo certo stare completamente tranquilli, perché le sanzioni statunitensi sono ancora in vigore, e un riavvicinamento economico e politico tra Nord Corea e Cina sembra sempre più plausibile. 

Quello che non sembra chiaro è se Kim Jong-un continuerà o meno a governare. Le lacrime potrebbero essere un segno di resa, un estremo saluto alla nazione… Non glie lo auguro assolutamente, sto solo formulando ipotesi.

In effetti noi civili percepiamo i risvolti di queste operazioni strategiche spesso solo dopo anni.

Quindi, staremo a vedere cosa ha in serbo per noi la Corea del Nord.

 

Ho letto con grande sorpresa della sua scomparsa su LaLettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera. È scomparso esattamente un mese fa, il 15 giugno. 

Debilitato dal Covid-19, si era solo parzialmente ripreso dopo il ricovero. Un altro dei molteplici che sono caduti. Ma ricordiamo Giulio Giorello per chi non ha avuto occasione di conoscerlo.

Chi era Giulio Giorello

Innanzi tutto, un intellettuale. Un intelletto decisamente poliedrico, visto che si occupò di matematica, di fumetto e di letteratura irlandese (riporto il Corriere).

Sempre nell’inserto del Corriere si riporta l’intervista che rilasciò il 30 aprile 2006 al Corriere: con un’intuizione pro-tempore parlò della medicina che spesso ci spinge a considerarci non più di una sequela di disagi.

Non proprio una polemica, visto che il monito era a vivere la pienezza della vita, godendone soprattutto gli aspetti imprevedibili conseguenza della nostra fragilità.

I ricordi di chi lo conobbe

Io ne lessi solo qualche articolo, e a dir la verità mi ricordavo l’impressione che uno di questi mi suscitò. Leggendo meglio le testimonianze che alcuni colleghi pubblicano su di lui, mi sono ricordato che era un articolo sulla libertà, e ho subito collegato il nome all’articolista.

Quindi non potrei onestamente dire che lo conosco. Ma indubbiamente, dando un’occhiata al curriculum, parliamo di una mente dall’apertura indiscutibile.

Penso che potrebbe essere un’occasione per leggere qualcosa in più.

Intanto: ciao, Giulio!

 

 

Me lo sono chiesto diverse volte, e come avrete capito il copyright è per me una sorta di chiodo fisso.

Colpevole la fantascienza che guardavo da bambino, o forse la passionalità con cui difendevo i miei artisti preferiti dalle accuse di plagio. Sinceramente non so quale sia stato il fattore scatenante per il mio interesse verso le questioni legate al diritto d’autore. Perché poi, in fondo, è di questo che si parla quando ci si riferisce al copyright.

Come si calcola il diritto d’autore?

È più semplice di quanto si possa pensare. Il diritto d’autore non è affatto una questione complessa, anche se bisogna legittimamente porsi alcune questioni in un’ottica globale, e esistenziale allo stesso tempo.

Ci ha provato Alina Yordanova Trapova, premiata per un progetto al convegno su diritto e intelligenza artificiale organizzato dall’Università di Pavia, Centro europeo per la legge, dipartimento delle scienze e nuove tecnologie (Eclt).

Lo riporta Ansa in un’intervista alla giovane ricercatrice.

Diritto e IA

Il centro di tutto il lavoro, secondo la ricercatrice, sarebbe “identificare l’elemento umano nel processo di machine learning”.

In sostanza, capire quanta  la reale influenza del lavoro umano nel processo creativo. Il dubbio che mi sorge spontaneo è: ma perché allora sulla pagina internet ufficiale dell’ufficio brevetti si riporta:

Il titolare del diritto d’autore è colui che ha creato l’opera. È reputato autore dell’opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato come tale nelle forme d’uso, ovvero, è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radio-diffusione dell’opera stessa (Fonte)

Seguendo questa direttiva, dovremmo, se l’autore dichiarato è “IA”, considerare l’Intelligenza Artificiale come autore reale. Come tale, essendo un concetto astratto, o meglio un’entità non personale, non è legalmente perseguibile.

Ma non sono convinto. Continuiamo la disquisizione nella prossima puntata.

Il colore di quest’anno è quello della satira sociale.

Così ha deciso l’intellighenzia oscarese, conferendo al coreano “Parasite” ben 4 statuette. Dimenticando colpevolmente Scorsese e il suo capolavoro “The Irish Man”.

Il messaggio culturale è stato chiaro. Anche se non dobbiamo considerare la categoria di “miglior film” come quella più rappresentativa, non possiamo negare che la tendenza di questi premi Oscar sia stata la premiazione della satira sociale.

E sia, ogni tanto il lato europeo degli Stati Uniti si fa sentire, e decidono che un bel film straniero merita il titolo di miglior film.

Questa decisione, non dimentichiamocelo, farà la storia, perché è la prima volta che succede dopo “The Artist”, che però era un film muto.

Invece il capolavoro a mio parere ben più holliwoodiano, ben più rappresentativo della loro storia cinematografica, è stato completamente ignorato.

The Irish Man, lasciamolo in soffitta perché è un capolavoro, da parte di un regista pluripremiato, troppo americano per attagliarsi al filo sociale di questi Oscar.

Peccato per un film, che a mio parere è stato davvero un capolavoro. Anche se non mi considero un amante vero e proprio del genere, la costruzione, l’ingaggio del pubblico, il finale non chiuso, senza lieto fine… La superba recitazione degli attori, densa di understatement, il realismo della scenografia e della fotografia… Il film è lungo, ma non ho sentito la differenza rispetto alla ora e mezza standard del film americano.

Penso che un senso di immersione come quello che mi ha dato questo film, non lo provassi dall’adolescenza.

Un vero peccato che “The Irish man” non abbia vinto proprio nulla.

Io confido che i dizionari del cinema e la critica lo innalzeranno dove le alternanze di mode sociali non l’hanno portato.

Intanto io mi sono goduto un buon film.

Molti altri sono gli aspetti degni d’interesse nella filosofia di Voltaire. Il fatto che il suo Dizionario filosofico sia fortemente intriso di teologia, anche se provoca una presa di distanza nel filosofo, necessita comunque di essere  conosciuta. Non essendo io proprio un fine conoscitore, mi limiterò a citare le ultime voci che ha riscosso il mio interesse.

Tirannia

Vediamo un attimo le caratteristiche principali del tiranno, come Voltaire lo concepisce:

  1. Si chiama “tiranno” il sovrano che non conosce altre leggi all’infuori del suo capriccio.
  2. Si distingue la tirannia di uno dalla tirannia di molti
  3. E’ preferibile la tirannia di molti. Innanzi tutto perché il tiranno prende delle decisioni giuste, almeno qualche volta, mentre l’assemblea di despoti mai. Poi, è più facile destituire un solo tiranno piuttosto che un gruppo di. “Ho paura che in questo modo si sia ridotti a essere incudine o martello; beato chi sfugge a questa alternativa.

Tolleranza

Un caposaldo della filosofia voltairiana. La tolleranza venne dal filosofo scoperta indagando nel proprio intimo, ma vista in pratica durante il suo soggiorno inglese.

“Che cos’è la tolleranza? L’appannaggio dell’umanità. Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori; perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze, è la prima legge di natura”.

Se nelle Borse di Amsterdam, di Londra, di Surat o di Bassora convivono diversissime etnie e religioni, “perché – chiede Voltaire – ci siamo scannati senza interruzione a partire dal primo concilio di Nicea?”. E’ citata la tolleranza dell’Impero romano per tutti i culti che non fossero il paganesimo ufficiale. Ma all’interno delle religioni dominate dai romani, c’è comunque differenza, secondo il filosofo:

“Gli Ebrei non volevano che la statua di Giove fosse a Gerusalemme; ma i Cristiani non volevano che fosse in Campidoglio”.

L’attualità di Voltaire

Leggendo queste pagine sulla tolleranza sembra di sentire certi discorsi contemporanei. E’ innegabile che i termini “ebreo” e “cristiano” potrebbero essere sostituiti in molti dibattiti con “cristiano” e “musulmano”. Come anche, in qualsiasi contesto geopolitico etnicamente dubbio, da qualsiasi etnia locale. Noi siamo più tolleranti, dirà l’etnia dominante, anche se non è proprio l’intenzione di Voltaire replicare la rivendicazione etnica.

Però, se dobbiamo spenderci per rivendicare un’identità, quella illuminista ha varcato le porte dell’oscurantismo e ha inaugurato l’età moderna. L’attualità del discorso di Voltaire non fa che dimostrarlo.

Voltaire parla di Platone

Il rapporto di Voltaire con Platone non è enunciato per intero in un punto unico dell’opera del filosofo francese. Platone è nominato quando si parla di “amore socratico”, inteso in realtà come platonico. La confusione dei dialoghi socratici con quelli platonici temo che mi sia sempre appartenuta, non saprei quindi dire quale sia esattamente la differenza e come facciano i filologi e filosofi a attribuirne uno all’uno piuttosto che all’altro.

Voltaire e il dialogo platonico

L’utilizzo di diverse forme retoriche dimostra la sterminata cultura di Voltaire, in realtà comune all’epoca per gli intellettuali che volessero considerarsi di un certo calibro. Tra quelle più standard c’è il dialogo platonico (o socratico!).

Prendiamo una voce tra le tante, che è “necessario”. Qui il dialogo si svolge tra i due personaggi Osmin e Selim. Il primo è l’interrogante, il Socrate, che attraverso le sue domande apparentemente ignoranti nasconde una sapienza che conduce l’altro, l’interrogato, verso la verità. 

Il Necessario

Quindi, la nozione filosofica di “necessario” è elaborata seguendo lo schema del dialogo platonico/socratico. 

Osim “Come accade dunque che taluni uomini nascano privi di queste cose necessarie?”

Selim “E’ che le leggi generali della natura hanno apportato degli accidenti che hanno fatto nascere dei mostri; ma in generale l’uomo è provvisto di tutto ciò che gli occorre per vivere in società.

Insomma, entrambi i deuteragonisti sono ben consapevoli e convinti della conquiste del pensiero illuminista. Però ne servivano due, per completare il processo maieutico.

Una condanna da cui Voltaire si sente di scagionare il mondo greco-romano è quella di essere senza morale. “Non esiste se non una morale, così come non esiste se non una geometria”, dice Voltaire alla voce “Morale” del suo Dizionario Filosofico.

 La morale unica

Siamo forse abituati a concepire “morale unica” come la caratteristica principale di una teocrazia, o di un regime etico nel quale si venga sottoposti a qualche tipo di sanzione, se non si sottostà alla morale unica, o morale dominante. Con “morale unica, come si è già visto, Voltaire dipinge invece uno scenario  nel quale collettivamente tutti gli uomini concorrano con criteri umani e scientifici a reperire il concetto di giusto e sbagliato. Non sono d’accordo ovviamente sulla generalizzazione della morale sulla base dell’ascolto del “cuore”, come dice il filosofo. Il rischio della morale unica intesa in questo senso è quello di appiattimento. Una civiltà cannibale come potrà mai trovare moralmente sbagliato il mangiare i propri nemici uccisi in battaglia?

I cannibali

So che è un esempio idiota, ma lo fa lo stesso Voltaire, e all sua epoca i cannibali erano, oltre che un esotico e narratissimo fenomeno, anche realtà, e uno lo incontrò proprio Voltaire. La signora cannibale gli confidò senza imbarazzo che il suo popolo mangiava i nemici sconfitti in battaglia. A questo punto il filosofo francese stesso si chiede cosa ci sia in fondo di peggio, se lasciar marcire i cadaveri, come si fa in Europa dopo sanguinose guerre, o se mangiarseli.

Alla funzione sociale del cannibalismo Voltaire pensa, ovviamente: in caso di scarsità di sibo e di guerre frequenti, questa morale “alternativa” a quella europea è perfettamente sensata. VEdiamo quindi come l’estrema semplificazione che tenta di fare Voltaire risulti a volte fieramente contradditoria.

Le voci religiose del Dizionario Filosofico di Voltaire, potrei dire che siano la maggior parte. Oltre all’analisi dell’eziologia dei diversi rituali religiosi.

Come nasce il rituale

“Eziologia” è analisi ed elenco delle cause di un fenomeno. Studiare come un fenomeno nasce sembra uno dei propositi principali del filosofo Voltaire. Ad esempio, nella voce “battesimo” si legge: “ parola greca che significa “immersione”. Gli uomini, che si lasciano sempre guidare dai sensi, immaginarono facilmente che ciò che lavava il corpo lavava anche l’anima. Nei sotterranei dei templi egiziani c’erano grandi tinozze per i preti e gli iniziati. Gli Indiani, da tempo immemorabile, si sono purificati nell’acqua del Gange, e tale cerimonia è ancora molto in voga…”

Descrivere è morire: i rituali religiosi

Non riesco propriamente a capire se l’eziologia sia così raccontata con intento polemico: la comparatistica per le religioni fa spesso effetto comparativo, ed è sgradita ai veri fanatici. Le religioni non sono infatti paragonabili tra di loro, se si considera la propria l’Unica. Oggi lo spirito moderno ha teso a uniformare le visioni, anche se nella mia esperienza non ho mai incontrato un religioso che dicesse “sono religioso”. 

La morale

A questo proposito non possiamo che considerare la visione voltairiana della morale.

“Confucio non ha inventato un sistema di morale come si costruisce un sistema di fisica. Egli l’ha trovato nel cuore di tutti gli uomini”.

Concezione esistenzialista, diremmo noi moderni, ma in fondo la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo risponde a questa necessità. Se a Voltaire sfugge la distinzione hegeliana e tutta moderna tra etica e morale, dobbiamo sempre considerare come abbiamo già detto che Voltaire, più che un teorico, fu un grandissimo divulgatore. Il divulgatore spiega ma a un certo punto dell’analisi, si ferma.

“Non si sa con precisione dove stiano gli angeli: Dio non ha voluto che ne fossimo edotti”. Si capisce perché un libro del genere dovesse necessariamente essere in formato tascabile. Questo spezzone è tratto alla voce “angeli”. Il libro doveva essere nascosto alla minima avvisaglia di perquisizione da parte di un’autorità costituita.

Detto ciò, non tutte le fonti sono documentate con scrupolosità. La storia è trattata alla maniera di Erodoto, il più delle volte attingendo a aneddoti narrati da raccolte di dubbia veridicità, ma utili a suffragare una piuttosto che l’altra opinione. Ad esempio, alla voce “antropofagi” si trova l’aneddoto della candelaia:

Ho letto negli aneddoti della storia d’Inghilterra ai tempi di Cromwell che una candelaia di Dublino vendeva ottime candele fatte col grasso degli Inglesi. Qualche tempo dopo uno dei suoi avventori si lamentò con lei del fatto che le sue candele non erano più così buone: “Ahimé – disse la donna – e che gli inglesi ci sono mancati in questo mese”. Io mi chiedo chi fosse più colpevole, se chi sgozzava gli inglese o questa donna che faceva candele con il loro grasso

La religione

Non solo il capitolo prima citato, ma anche molti dei successivi si riferiscono al clero e più in generale alla dottrina cattolica. Sulla voce “apocalisse” ad esempio si fa una disamina impietosa di tutte le versioni extra e pre-conciliari di alcuni dogmi fondanti. Molto spesso viene addotta a spiegazione l’opinione di uno dei Padri della Chiesa, che in numerosi casi va in controtendenza rispetto al Vangelo e alle Scritture. Non può mancare la citazione dei passaggi più crudi del Deuteronomio.