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Il fallimento per un esploratore fa parte del gioco. Così almeno verrebbe da credere a noi moderni, alla luce della vita e esplorazioni di Ernest Shackelton, autore del grandioso fallimento della spedizione in Antartide.

In realtà, leggendo il memoir di Shackelton, “Sud”, ci rendiamo conto che spesso il fallimento diventa un modo comune, quasi sistematico, per affrontare il grande mondo dell’esplorazione geografica.

Ma andiamo con ordine.

Shackelton e il fallimento della missione in Antartide

La storia si è svolta in un modo piuttosto semplice e lineare: a fronte di una programmazione dettagliata della spedizione in Antartide, il baldanzoso esploratore nel 1915 sbagliò semplicemente i calcoli: la sua nave e l’equipaggio rimasero intrappolati nei ghiacci. 

Nel buio, in mezzo al nulla, furono così costretti a tornare a casa. La storia del recupero è secondo me molto affascinante, ma merita di essere letta dal pugno di chi l’ha vissuta, e quindi vi devo consigliare la lettura integrale del memoir “Sud”, disponibile in libreria ma anche in e-book, per i più impavidi.

Quello che in realtà mi colpisce di più di questa storia è che Shackelton fu sottoposto anche a diversi travagli nella vita personale.

E in qualche modo, ne uscì eroicamente.

Eroismo e fallimento

Vita amorosa non soddisfacente (a suo dire), alcolismo: vari e pesanti furono i disagi che accompagnarono Shackelton, che dal proprio auto-ritratto emerge con un’aura da misterioso e dannato che ben si accorda con la figura dell’esploratore.

Però, com’è possibile che sia riuscito a convivere con quelli che la sua epoca certamente etichettava come costanti fallimenti? Cosa ha reso possibile la riabilitazione che riesce a fare di se stesso nel memoir “Sud”?

Forse, stiamo guardando la questione con gli occhi appannati. Pensiamo all’afflato stesso dell’esplorazione: andare all’ignoto, ricercare la Verità, e forse non tornarne mai vivi. Lo stesso fascino che siamo abituati ad assegnare a Moby Dick ricade quindi sull’esploratore fallimentare. Facile essere eroici quando scopri il Polo Nord, ma quando rimani intrappolato nei ghiacci, e non cedi al disonore, cammini per chilometri al gelo e ne esci?

Shackelton può insegnarci moltissimo sulla gestione del fallimento nelle esplorazioni, e a non considerarlo più come tale. Leggetevi “Sud”, e fatemi sapere cosa ne pensate!

 

“Prendete il weekend 22-23 febbraio 2020. Al cinema potevate scegliere tra l’americano Era mio figlio, con Samuel L. Jackson, o l’immancabile commedia italiana La mia banda suona il pop. Alla Scala era in programmazione Il trovatore, diretto da Nicola Luisotti, mentre al Teatro Quirino di Roma c’era Alessandro Siani con Felicità Tour. Al Forum di Assago avevano appena tolto le tende i Jonas Brothers e si preparava il set dei Pinguini Tattici Nucleari, reduci dal terzo posto a Sanremo”. 

Inizia così la bellissima inchiesta del Sole24Ore, a un anno dal temibile lockdown 2020. Il titolo è “Vi ricordate com’era prima? L’anno zero di concerti, cinema e teatri”. Prima di cliccare sul link, vi devo avvisare con buon cuore che il contenuto è riservato ai soli abbonati al servizio 24+.

Vale la pena solo per leggere questa inchiesta, che ci racconta con la forza disarmante dei dati  di un settore che ha perso 4,1 miliardi in un anno. 1.3 milioni di eventi contro i 4.36 milioni del 2019, -77.58% di spesa solo al botteghino. 

Gennaio, febbraio e la finestra di tempo da giugno a ottobre non sono bastati, e ora possiamo vedere chiaramente di fronte a noi un quadro completo di questa devastazione.

Buon Dantedì a tutti e a tutte!

Per una volta una ricorrenza nazionale viene unanimamente seguita da una larga fascia di popolazione.

Abbiamo i giovanissimi – obbligati da insegnanti, tutor, DAD e chi più ne ha, più ne metta.

Abbiamo gli anziani come me, viziati da una visione del mondo romanticamente letteraria e dei grandi ideali.

E abbiamo poi i giovani, sbalzati dai loro posti di lavoro o dalle loro università, e i meno giovani che forse qualche garanzia in più l’avevano accumulata, che dopo anni di dimenticanza del Sommo Poeta potrebbero averlo oggi riscoperto.

Dante è un poeta per tutti questi, reietti ed esiliati, vincitori e baroni: non c’è una tendenza unica, non c’è un’interpretazione che valga per tutti.

La Divina Commedia

Da chi preferisce il clima fosco e tormentato dell’Inferno.

Qui gli strali politici e verbali della peggior specie, personaggi grotteschi che gli uni sugli altri si accumulano e lanciano invettive e maledizioni.
C’è poi il Purgatorio, che trovo francamente il meno frequentato, anche dai critici letterari.
Qui abbiamo la messa in piazza della penitenza come modalità di riscatto da una situazione limbica.
forse proprio per questo è meno frequentato, perché più in cattedra, con un occhio alle pene del piano inferiore ma un tono più smorzato è molto meno socialmente critico.
E infine c’è il Paradiso.

Solitamente disdegnato dai più giovani è riscoperto in tarda età, il Paradiso è il capolavoro poetico del poeta fiorentino.

Una lingua sorvegliata e un registro aulico, dopo la salita di tono delle tre Cantiche, conferiscono a questa opera straordinaria il potere di coronare quella che è l’epopea dell’umanità.

Buon Dantedì!

In questo periodo di incertezza e di dubbi e condizioni politiche può aver senso riscoprire la Divina Commedia come opera massima del sommo poeta.

Chissà che alcuni risvolti del Purgatorio, proprio la Cantica dimenticata, non possano omologarsi alla nostra condizione attuale…

Concludevo il mio post precedente parlando del mercimonio di opere che vengono definite arte.

Sebbene io sappia che il discorso su cosa possa essere definito arte è infinito, vorrei toccarlo tangenzialmente. Ma solo per arrivare all’argomento che davvero mi interessa: il possesso dell’opera d’arte.

Che cos’è l’arte, in due parole?

Dunque,  senza bisogno di scomodare la filosofia estetica di Baumgarten e di Heidegger, possiamo soffermarci su una brevissima definizione di arte da come la intende il mercato: l’incontro della domanda, anche creata, e dell’offerta da parte di un mondo generalmente riconosciuto come “artistico”.

Il “mondo artistico”

Si intende con “artistico” un mondo che faccia già parte di un determinato circuito, che abbia determinati iter procedurali riconosciuti come connessi all'”arte”.

Faccio un esempio: un artista di strada espone la sua opera in pubblico. Certo, Si differenzia da un pittore tradizionale perché crea la sua opera di nascosto e spesso in contravvenzione ad alcuni regolamenti urbani.

Spesso però è vittima di una vera e propria filosofia artistica, e questo fa di lui un riconosciuto membro del “mondo artistico”.

Arte e possesso

Il caso del cosiddetto RTF in realtà molto utile per delimitare un altro concetto che si lega indissolubilmente all’arte: quello del possesso.

Chi possiede le pitture murali ritrovate nella casa di Goya dopo la sua morte?

 Ma soprattutto, chi possiede La Gioconda con i baffi di Duchamp?

 Se per la prima possiamo aprire un capitolo legale, per la seconda la risposta al quesito sembra più facile la risposta: Duchamp la possiede,  prima di averla venduta. E dopo averla venduta, la possiede il compratore.

Come ho iniziato a dire in questo articolo però, ci sono alcune correnti artistiche che si arrogano il diritto di commercializzare arte infinitamente riproducibile e altamente tecnica non prodotta interamente da loro.

La rivendicazione del possesso diventa quindi puramente commerciale, o meglio il risultato di una lotta di potere e volontà di potenza.

È il caso degli NFT, di cui parlo nell’articolo sopra menzionato. 

Come per l’occupazione di immobile, anche negli NFT applicati al mondo degli oggetti digitali e del collezionismo, l’ultimo che arriva pianta la bandierina.

Ecco che quindi la schiacciata di LeBron James e può essere venduta a milioni di dollari, e una piazza prima pubblica può essere monopolizzata – giustamente – da un gruppo di manifestanti.

Un possesso labile

Il possesso della schiacciata di LeBron e della piazza diventa quindi labile e meno chiaro, paradossalmente, anche perché si mescola al paradosso del semi plagio, se vogliamo parlare di arte.

La Gioconda con i baffi di Duchamp è un’opera d’altri, resa iconica da altri, con una storia d’altri. Una piccola aggiunta, un “tag” da graffitaro, ed ecco che diventa d’altri.

In realtà ci possiamo scandalizzare per il mercimonio che viene configurato dagli NFT, ma già l’avevamo visto in opera.

C’è già chi dichiara di possedere opere di cui non ha mai comprato i diritti.

Ma per favore, non perdiamoci in orizzonti troppo filosofici. Vorrei solo dire che per quanto riguarda l’arte contemporanea ne vedremo delle belle, ma ne abbiamo anche già viste tante.



Continua da questo articolo.

Parlavamo di NFT e di arte digitale, dopo che Christie’s ha iniziato a sdoganarli per il commercio delle opere d’arte.
Gli NFT sono una nuova tecnologia in grado di garantire al singolo pezzo d’arte una sorta di certificato di autenticità. Oltre al doveroso riconoscimento all’artista di un corrispettivo per la propria opera, c’è un altro aspetto molto interessante.

Le royalties nell’arte digitale

L’artista digitale può infatti impostare questo certificato in modo da ricevere delle royalties a ogni nuova transazione dell’opera.

Questa è una novità molto interessante perché esula dal contratto economico con impresario o manager d’arte, che una volta acquistata l’opera d’arte per la prima volta, la rivalutano spesso a prezzi molto più elevati dell’originario.

Non è chiaramente sempre così, ma dipende da come viene gestita questa tecnologia.

Un’arte decentrata

Un vantaggio consistente della blockchain è quello di essere decentralizzata.

Questo l’ha resa una tecnologia molto minacciosa per i grandi istituti di credito, soprattutto alla nascita della criptovaluta Bitcoin.

Infatti, queste transazioni non vengono garantite da un intermediario e non possono essere modificabili. La blockchain garantisce che tutti gli utenti che si iscrivono alla rete abbiano piena visibilità di tutte le transazioni.

Se si desidera mantenere la propria identità anonima, si può, ma si verrà sempre e comunque identificati da un determinato “blocco” di codice.

Un esempio pratico

In sostanza, chi andrà a vedere la riproduzione digitale della Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci, potrà accedere a una stringa di codice che indica il primo proprietario, il certificato di autenticità e tutte le transazioni successive.

Sebbene non si comprenda interamente la necessità di distribuire su un gruppo di utenti la visibilità di queste transazioni, il processo rimane interessante.

Sviluppi futuri

Tra gli sviluppi futuri che avrebbe senso fare si potrebbe inserire una valutazione da parte di un organismo di critica d’arte.

Questo esulerebbe dalle leggi del libero mercato ma renderebbe l’opera d’arte, in un certo qual senso, appartenente a una rete quindi maggiormente valutata e controllabile.

Uno dei rischi più grandi che intravedo – che già si sta verificando – è che ogni cosa diventi un oggetto d’arte, semplicemente perché il proprietario è in grado di venderla a una somma considerevole a chiunque sia disponibile a spendere i propri soldi online.

Già siamo di fronte a un mercimonio di opere che vengono definite “d’arte”. Potrebbe essere che siamo di fronte alla definitiva crisi dell’arte contemporanea?

Oggi vorrei parlare del processo dell’arte digitale verso una più sicura e condivisa certificazione di autenticità. 

La infinita riproducibilità tecnica delle opere digitali

Primo presupposto: uno dei problemi principali delle opere d’arte in formato digitale è, come diceva Walter Benjamin, l’infinita riproducibilità tecnica.

Se nell’antichità per riconoscere un falsario serviva un critico d’arte o un esperto di materiali, che potesse eventualmente sbugiardare la contraffazione, con l’opera d’arte digitale il discorso è più complesso. 

Il processo di certificazione dell’arte digitale

Molto spesso infatti basta salvare un’immagine che si vede online per averne una copia perfettamente conforme all’interno del proprio computer. 

Di fronte a questa considerazione abbastanza semplice possiamo capire perché la nota casa d’arte Christie’s abbia iniziato a mettere in vendita NFT di opere d’arte digitali. 

Cosa sono gli NFT

Gli NFT sono non fungible tokens, ovvero una tecnologia in grado di conservare in una piattaforma pubblicamente accessibile tutti i dati sulla transazione di una determinata immagine. 

Mi rendo conto che detta così significhi poco, quindi facciamo un esempio pratico. 

Un artista digitale crea un’animazione 3D che vuole vendere come opera d’arte digitale.  

Per poterlo fare è necessario che acceda a un’apposita piattaforma in grado di fornirgli un NFT. Questo NFT è il corrispettivo digitale di un certificato di originalità.

Attraverso questa stessa piattaforma, grazie alla tecnologia blockchain, questo oggetto può essere messo all’asta e comprato pubblicamente. 

In futuro, chi vorrà a sua volta acquistare questo oggetto potrà essere consapevole dei passaggi che l’opera ha fatto di mano in mano, e attraverso la tecnologia giusta si può anche risalire alla proprietà dell’opera, come anche a chi ne detiene diritti. 

È evidente che una scoperta simile ha completamente rivoluzionato il concetto di riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, perché assegna a una sola opera la caratteristica di autenticità. 

Il potenziale della tecnologia blockchain

Il potenziale della tecnologia blockchain sembra in grado ancora una volta di stupirci.

Ma al di là dell’applicazione per garantire l’ autenticità, ci sono anche altri aspetti interessanti degli NFT, come vedremo nei prossimi articoletti.

Tutti conosciamo la storia di Edipo e alcuni di noi hanno anche avuto la fortuna/sfortuna di incontrare le più disparate interpretazioni della stessa.

L’interpretazione di Frazer del mito di Edipo

Parlo molto vagamente in questo articolo delle interpretazioni che l’antropologia o la psicologia hanno trovato del mito edipico; qui vi dico anche che secondo me quella di Frazer è la più vicina al modo di interpretare la realtà che hanno i Greci della Grecia classica. 

Il succo dell’interpretazione di Frazer è che la storia di Edipo è collegata al personaggio del Re Sacro. 

Quando un re sacro perde il suo potere, la terra diventa sterile. Scoppiano pestilenze nel bestiame e tra gli uomini. A questo punto è necessario o uccidere il re o sacrificare in sua vece una vittima che lo rappresenti e che accolga su di  tutte le impurità.

Il farmaco

In greco questa figura si chiama “farmacòs”, che significa anche “avvelenatore”, e consente di liberare dalle impurità tutte le persone della comunità.

Come ben sappiamo il capro espiatorio alla fine viene ucciso o allontanato dalla comunità. 

Se scegliamo di aderire a questa interpretazione del mito dell’Edipo, possiamo immaginare che Sofocle abbia nascosto nella vicenda di Edipo questa antichissima credenza religiosa.

Il doppio ruolo del protagonista è quello sia di capro espiatorio sia di re, e questo contribuisce ad aumentarne l’intrinseca tragicità. 

Quello che aggrava ancora di più la situazione è che Edipo è stato anche il sacrificatore del re precedente (suo padre) diventandone il successore.

Inoltre, con il proprio auto accecamento ha consegnato la città a un destino migliore, il prossimo re, caricando su di i suoi stessi peccati. 

Vediamo quindi che l’interpretazione interessante del sacrificio del re è un po’ vaga, In più, non tiene conto del fatto che i peccati della città sono in realtà causati dallo stesso Edipo. 

A questo punto verrebbe da chiedersi: ma le interpretazioni dei critici hanno attinenza con la trama o iniziano da vaghe speculazioni suggestive e lontanamente inerenti alla vera storia narrata? 

Non lo sapremo mai. Resta che il mito di Edipo è molto affascinante anche perché suscita molte interpretazioni diverse, anche a un contemporaneo. Come tutte le opere di vera Letteratura, è eterna. 

L’Edipo re è tra le tragedie classiche una di quelle che hanno suscitato maggiore interesse.

Dalla psicanalisi all’antropologia

Analizzato da scienze ignote all’archeologia, come la psicanalisi e l’antropologia, Edipo è un personaggio carico di simboli diversi. 

Pensiamo ad esempio a Freud, che cerca di comprendere il vero significato del nome Edipo. Letteralmente significa “colui che ha i piedi gonfi” oppure “colui che conosce i piedi”.

Si parla di due diversi momenti della sua storia: l’esposizione in seguito alla nascita, dopo che gli sono stati forati i piedi, mentre il secondo episodio è la soluzione all’enigma della Sfinge riguardo all’essere misterioso che nasce su quattro zampe cresce con due e prima di morire ne ha tre.

Cieco per mano propria

Ugualmente, si è molto parlato dell’auto accecamento di Edipo e della terribile simbologia che vi può essere collegata: autopunizione, autocastrazione e chi più ne ha più ne metta.

Ma per noi è veramente molto difficile immaginare un tragediografo del quinto secolo a.C. come Sofocle che si mette ad arzigogolare sui significati simbolici e gli omaggi che possono celarsi dietro un nome collegato in qualche modo al patrimonio di racconti nazionale.

Si tratta  di opere d’intrattenimento che hanno una certa caratura simbolica, come era normale nella maggior parte delle opere del periodo. Però non possiamo non pensare che la finalità principale di questa tragedia fosse intrattenere un pubblico e ricordargli delle vicende che forse remotamente già conosceva.

Non voglio peccare di empietà e nemmeno scomporre i classicisti in sala. Ovviamente non considero l’Edipo come una fiaba della buonanotte, anche perché come fiaba risulterebbe piuttosto horror. 

Quindi, cosa salviamo della mastodontica critica che è stata fatta di Edipo? A mio parere, la sua figura di capro espiatorio. 

L’interpretazione di Frazer sembra quella più vicina al modo di pensare dei greci. Ma ne parlerò nel prossimo episodio. 

(Continua) 

 

Nell’ultimo articolo Ci siamo chiesti: L’aria è davvero più pulita dopo quasi un anno di restrizioni anti-Covid? 

Delfini e paperelle a parte, la risposta è: non sempre.

Dopo aver visto la Lombardia, proseguiamo quindi con le altre regioni d’Italia.

Veneto

In Veneto, secondo Arpa, non c’è stato nessun superamento del valore limite annuale di diossido d’azoto e tendenzialmente le concentrazioni sono diminuite rispetto ai 3 anni precedenti. Le pm10 non hanno superato i livelli consentiti, come anche il particolato.

Invece il valore limite giornaliero delle pm10 è stato rispettato solo in 8 centraline, tutte nella zona Pedemontana o Montana in Val Belluna, aumentando invece su scala regionale. 

I valori di PM 2.5 sono stati rispettati come valori medi annui, ma si sono verificate concentrazioni tendenzialmente più elevate, se le paragoniamo con quelle dei 2 anni precedenti.

Emilia-Romagna

L’arpa Emilia-Romagna invece rileva che nel 2020 quasi tutti gli inquinanti sono stati analoghi a quelli osservati nel 2019, a fronte di condizioni meteorologiche sfavorevoli rispetto all’anno precedente. 

Piemonte

In Piemonte si è rilevata molto più chiaramente rispetto ad altre zone la correlazione degli inquinanti e attività antropiche: abbiamo quindi una variazione continua di benzene, toluene e xilene, e gli inquinanti legati al traffico veicolare.

 

Questi risultati si verificano in realtà in tutto il mondo.

Come rivela un famoso studio dell’università di Birmingham, i cambiamenti delle emissioni nell’aria associati ai primi lockdown hanno sì portato a una modifica dei livelli di inquinamento, ma l’impatto globale sulla qualità dell’aria è stato inferiore al previsto.

Il diossido d’azoto ha comunque visto una riduzione globale e sembra che siamo in linea con i valori indicati dall’organizzazione Mondiale della sanità, anche se l’aumento dell’ozono è piuttosto preoccupante in quanto riduttivo dei benefici della riduzione del primo. 

Insomma, conviene tenere ancora per un po’ la mascherina ben salda sul naso e la bocca!


A quasi un anno dall’inizio del lockdown, possiamo dire che l’ozono si è ridotto, la green economy funziona, l’aria è più pulita e i polpi son tornati alle nostre spiagge?

Aria più pulita?

Ora, non possiamo negare che la discesa di diversi animali selvatici nelle fontane e nelle aiuole delle nostre città sia avvenuta, e questo è sotto gli occhi di tutti.

Chi non ha visto le foto dei delfini al largo di Venezia, i cinghiali e i caprioli che entravano nei giardini privati, e non solo nei paesi pedemontani?

Però, purtroppo, per quanto riguarda la salute dell’aria non si distingue chiaramente un calo dello smog dal 2020 al 2019.

I valori 

Il traffico è sicuramente calato durante i due lockdown e si è ridotto l’inquinamento da ossidi di azoto dei motori a gasolio. Però, è cresciuto l’inquinamento da ozono troposferico, e sono anche cresciute le emissioni da collegare ai riscaldamenti domestici.

La Lombardia

Le notizie sono però buone per la Lombardia, dove secondo un’indagine basata sul bilancio 2020 di Arpa Lombardia, i livelli di biossido di azoto sono decisamente bassi rispetto all’anno precedente.

Invece i valori di pm10 superano nel 2020 i limiti sul numero massimo di giorni oltre la soglia di 50 microgrammi su metro cubo d’aria. Il benzene, monossido di carbonio e infine il biossido di zolfo rimangono sotto i limiti.

Ricorda: per poter capire questi dati serve avere un quadro generale, quindi la media annuale, ma serve anche considerare lo sforamento delle singole stazioni.
Alcune zone sono, come è evidente, più soggette di altre all’inquinamento, e alcuni tipi di inquinamento, come quelli della logistica, impattano in modo più deciso rispetto ad altri in alcuni contesti.

Poi, non dobbiamo dimenticarci il fattore meteo: basta una giornata di vento forte per eliminare la maggior parte delle polveri sottili e degli inquinanti, il che rende l’analisi della media utile ma non verità assoluta.
In un prossimo post vorrei parlare in breve delle altre regioni italiane.
Intanto, su la mascherina!