Un altro anno di pandemia grava nella nostra memoria e viene – speranzosamente – additato come lontano da molti, esperti e non.
Che poi, si può essere esperti di pandemie?
Oggi vorrei, con piglio ostinato e non poco greve, ricominciare. Credo che anche per chi ha visto ben altre rivoluzioni, dal crollo del muro di Berlino e fine dell’Unione Sovietica, fino ai racconti crudeli dei reduci delle guerre mondiali, gli anni di piombo, la mafia, insomma anche per chi pensava di passare un tramonto felice, sia occorso questo impedimento.
Forse chi è più navigato rimane meno colpito dagli stravolgimenti della sorte, e nel contempo ne è più consapevole. Forse non sono altro che uno dei tanti miei coetanei, costretto a tramutare una sensibilità storica in un dibattito completamente nuovo, che riguarda cifre, numeri, sanità e salute pubblica.
Quel che mi colpisce molto, e che per me è una categoria del tutto nuova, è la sopravvivenza del pensiero politico, anche in questo tipo di problematica universale e a cui tutti siamo in qualche modo sensibili.
La politica emerge sempre, e dobbiamo considerare sempre la sua forza, quando si tratta di interpretare la realtà e di prendere delle decisioni orientate al bene comune.
Ecco quindi che il mio piglio diventa sartriano, comptiano: sono pronto ad affrontare questo nuovo anno con un occhio più critico, più sociologico, e più attento a una dimensione della cultura che sia viva, popolare nel senso di proveniente dalle masse.
L’elitarismo sta scricchiolando.
Andiamo su impalcature più robuste.