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Credit Suisse è una delle maggiori banche svizzere, e fin qui ci siamo. L’argomento su cui invece sento molta disinformazione è il motivo per cui Credit Suisse è balzata agli onori della cronaca.

Quindi, fatemi fare il divulgatore cheap e spiegare brevemente com’è andata la faccenda, prima che inizino a consolidarsi le teorie e le retrospettive, e quindi prima che raccontare una banale storiella come questa risulti insufficiente alla comprensione della situazione. 

Le vicende di Credit Suisse

Credit Suisse è stata interessata da una perdita di fiducia da parte dei suoi azionisti. 

Non possiamo non menzionare il suo coinvolgimento in Greensill Capital, una società di finanziamento della supply chain che già nel marzo 2021 aveva presentato istanza di fallimento. Quando Greensill ha iniziato a scricchiolare, Credit Suisse si è trovata esposta, e il prezzo delle azioni è crollato.

Ma abbiamo anche la multa del 2019, per un totale di 135 milioni di dollari, da parte delle autorità di regolamentazione statunitensi per il suo coinvolgimento in uno scandalo in Mozambico. 

Poi, le dimissioni dell’amministratore delegato, Tidjane Thiam, a dimettersi. Infine, gli obiettivi soprattutto dell’investment banking, che non sono stati raggiunti.

In risposta, Credit Suisse ha intrapreso un’importante opera di ristrutturazione. Questo ha comportato il taglio dei costi, la riduzione dell’organico e la rifocalizzazione dell’attività sui suoi punti di forza principali. Dopo la partenza di Thiam, la banca ha anche dovuto trovare un nuovo CEO, che sarà l’ex CEO di Lloyds Banking Group António Horta-Osório, assunto nell’aprile 2021.

Credit Suisse oggi

Ma cos’è successo oggi? C’è qualche relazione con il recente problema che ha avuto SVP (Silicon Valley Bank)?

Oggi il grosso problema è stato che Credit Suisse ha dichiarato che prenderà in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri (53,7 miliardi di dollari) dalla Banca Nazionale Svizzera, dopo che le sue azioni sono crollate fino al 30%. Ha inoltre dichiarato che riacquisterà parte del proprio debito.

Il motivo della difficoltà, oltre a quanto detto sopra sulle precedenti occasioni che hanno portato a un generico mistrust da parte degli investitori, è anche dato dalla congiuntura storica.

Le banche centrali di tutto il mondo hanno aumentato i tassi di interesse per cercare di rallentare l’inflazione aumentando il costo del denaro, ma ciò ha indirettamente destabilizzato le banche in generale.

Per quanto riguarda la somiglianza tra i problemi che hanno affossato SVB e quelli di Credit Suisse, non possiamo dire né che siano simili né che siano direttamente correlati – se non per il fatto che è in generale aumentata la vulnerabilità del settore finanziario.

Inutile elencare le opere shakespeariane più famose… Ognuno avrà il proprio canone, la propria antologia di idilli, citazioni, spettacoli teatrali visti. Ognuno vorrà dire qualcosa di diverso e soggettivo. 

Di una sola cosa sono sicuro: nessuno citerà tra le opere shakespeariane più famose il Coriolano.

Un peccato, perché c’è tanto materiale in questa opera per discutere e raccogliere bei momenti teatrali e di sceneggiatura.

Oggi vi racconto la trama del Coriolano. Così, per sfida. 

Di cosa parla il Coriolano di Shakespeare

Menenio cerca di calmare un ammutinamento tra i cittadini romani per il modo in cui sono stati trattati dai nobili. Il suo amico Caio Marzio li tratta con disprezzo e i cittadini si disperdono. L’atteggiamento di Marzio suscita l’ira dei tribuni Sicinio e Bruto.

Arriva la notizia che i Volsci sono in armi sotto Aufidio, inviato ad attaccare Roma. Volumnia e Virgilia discutono con orgoglio delle precedenti imprese di Marzio e ricevono la visita di Valeria, che riferisce dell’arrivo di Marzio nella città volsca di Corioles. I generali Comenio e Tito Larzio attaccano. Marzio è protagonista di diverse schermaglie e di uno scontro tra lui e Aufidio, al termine del quale Corioles viene catturata. Per il suo ruolo nella battaglia, Marzio riceve il titolo onorifico di Coriolano.

Coriolano torna a Roma, dove incontra la sua famiglia e si ritrova candidato alla carica di console. Affinché la candidatura sia valida, deve presentarsi umilmente al popolo e ottenere i suoi voti, compito che svolge a malincuore. Il popolo gli dà i suoi voti, ma Bruto e Sicinio lo dipingono come nemico del popolo e questo fa cambiare l’opinione comune che si ha su di lui. Quando questo viene riferito a Coriolano, egli non riesce a contenere la sua rabbia; parla contro il popolo e viene accusato di essere un traditore. Un violento scontro lo costringe ad andarsene. Dopo essere stato consigliato dalla famiglia e dagli amici, torna a incontrare il popolo, con l’intenzione di parlare in modo mite, ma non riesce a controllarsi di fronte ai loro scherni e viene bandito. Volumnia rivolge parole dure ai tribuni.     

Nel frattempo i Volsci hanno ripreso le armi. Coriolano va a offrire i suoi servigi ad Aufidio, che lo accoglie. Quando la notizia di questa alleanza arriva a Roma, si scatena il panico e il popolo comincia a pentirsi di ciò che ha fatto. Inviano suppliche per chiedere a Coriolano di risparmiare Roma. Egli respinge gli approcci di Cominio e Menenio, ma alla fine cede a Volumnia, Virgilia, Valeria e Giovane Marzio.

Nel frattempo, la popolarità di Coriolano cresce tra i volsci, con grande disappunto di Aufidio. Si riunisce con un gruppo di cospiratori e, al ritorno di Coriolano, viene nuovamente chiamato traditore e ucciso. Aufidio si pente immediatamente delle sue azioni e i volsci si preparano a dargli un nobile funerale.

Alla luce del recente quanto piuttosto inaspettato successo dell’Argentina ai mondiali di calcio in Qatar, vorrei fare qualcosa di insolito: ripercorrere i successi di questo Paese, così martoriato economicamente e politicamente, ai mondiali precedenti. Potrei diversamente produrmi in un mio commento sulla vittoria, ma come sempre credo empiricamente che i fatti ci aiuti a meglio comprendere la realtà, a volte più di spiegazioni posticce e dense di una finta capacità previsionale.

1930 – Uruguay

Siamo alla prima Coppa del Mondo di calcio a marchio FIFA. L’Argentina raggiunge la finale e perde il titolo contro l’Uruguay. L’ultimo gol è stato segnato da Héctor Castro, che all’epoca era conosciuto come il Divino Manco (letteralmente “monco divino”) per il braccio che gli era stato amputato da una motosega all’età di 13 anni.

1934 – Italia

Trionfa l’Italia, battendo la Cecoslovacchia in finale.

L’Argentina viene eliminata nella prima partita dalla Svezia.

1938 – Francia

L’Argentina decide di non partecipare dopo aver perso la corsa come paese ospitante.

L’Italia batte l’Ungheria e conquista nuovamente la finale.

1950 – Brasile

L’Argentina è di nuovo assente. Domina l’Uruguay.

1954 – Svizzera

L’Argentina sceglie di non partecipare per la terza edizione consecutiva. Vince la Repubblica Federale Tedesca contro l’Ungheria, capitanata da Ferenc Puskas.

1958 – Svezia

L’Argentina torna alla Coppa del Mondo ma viene eliminata al primo turno dalla Cecoslovacchia.

Pelé ha 17 anni e già guida la sua squadra nazionale. Vince il Brasile.

1962 – Cile

La squadra argentina viene nuovamente eliminata al primo turno.

1966 – Inghilterra

L’Argentina viene eliminata ai quarti di finale in una partita molto discussa per via dell’espulsione anticipata di Antonio Rattín.

Vince l’Inghilterra.

1970 – Messico

L’Argentina è esclusa dalla Coppa del Mondo per motivi sportivi. Parliamo di un mondiale importantissimo perché formalizza alcune regole poi divenute simboliche: il pallone a esagoni bicolori, più facilmente visibile nelle televisioni in bianco e nero, va a sostituire il classico pallone in cuoio scuro. Inoltre, sono previste per la prima volta ammonizioni ed espulsioni.

1974 – Germania

L’Argentina guadagna un ultimo posto nel girone della fase finale.

1978 – Argentina

Il capitano Passarella è il primo argentino a sollevare la Coppa del Mondo.

1982 – Spagna

In questo mondiale che tutti ricordiamo come un trionfo italiano, l’Argentina arriva da campione in carica con una squadra rafforzata da Diego Armando Maradona, già campione con il Boca e venduto al Barcellona.

La squadra argentina si ritira dal torneo nel secondo girone, con la sconfitta del Brasile e Maradona espulso.

1986 – Messico

L’Argentina vince con con l’assist di Diego Armando Maradona per il terzo e decisivo gol nel 3-2 finale contro la Germania, segnato da Jorge Burruchaga.

1990 – Italia

In semifinale, allo stadio San Paolo di Napoli, l’Argentina elimina l’Italia ai rigori.

Vince la Germania. 

 1994 – Stati Uniti

L’Argentina perde contro la Bulgaria nell’ultima partita del suo girone e poi contro la Romania agli ottavi di finale.

1998 – Francia

L’Argentina si presenta con una squadra la cui stella principale era Gabriel Batistuta, il primo argentino a segnare due triplette in Coppa del Mondo.

Segue l’eliminazione agli ottavi di finale per l’espulsione di Ariel Ortega dopo aver aggredito il portiere olandese con una testata.

2002 – Corea del Sud e Giappone

L’Argentina perde al primo turno.

2006 – Germania

La vittoria dell’Italia non mette in ombra un promettente 19enne Lionel Messi, che consente all’Argentina di raggiungere i quarti di finale.

2010 – Sudafrica

Diego Maradona veste i panni di allenatore e porta la squadra alla soglia dei quarti di finale.

2014 – Brasile

Una finale combattutissima ci mostra un’Argentina matura e pronta a rivaleggiare con i più grandi al mondo.

2018 – Russia

L’Argentina raggiunge gli ottavi di finale.

Non solo dal punto di vista linguistico, perché ogni dialetto è dotato di una propria grammatica e lessico, in parte ricalcati sull’italiano, ovviamente, ma anche per la soglia di comprensibilità: spesso i parlanti di un gruppo non sono in grado di comprendere il dialetto parlato da un altro gruppo.

In alcuni casi, e parlo di alcune specifiche comunità di parlanti dialettali, uno tra tutti il napoletano, esistono dei dizionari, una letteratura, delle antologie, che contribuiscono a dare al dialetto una veste ufficiale.

C’è poi la questione della nobilitazione politica: prendiamo ad esempio il sardo, lingua ufficiale a tutti gli effetti dell’omonima isola. Consideriamo il fatto che dei tre ceppi dialettali del sardo, uno solo è diventato “il sardo” parlato ufficialmente. La nobilitazione politica rende inopportuno chiamarlo dialetto: trattasi di una lingua neolatina, in gran parte derivata dall’italiano.

17 gennaio, giornata nazionale del dialetto

In onore a questa caratteristica frammentazione linguistica della nostra penisola, il 17 gennaio ricorrerà la giornata nazionale del dialetto, alla quale le Pro Loco di ogni città e cittadina italiana sono invitate ad aderire con eventi a tema, tra cui rappresentazioni teatrali, letture, musica e altro.

L’importante è che queste iniziative siano tenute, almeno parzialmente, in dialetto.

Anche per chi mal lo parla o lo comprende appena, ho un invito: approfittate dell’occasione. Se è vero che il popolo italico è lento nell’apprendimento di nuovi idiomi, per l’investimento di risorse che questo comporta, almeno facciamo tesoro di quanto abbiamo vicino a noi: a beneficio della cultura, della tradizione locale, e anche dell’emisfero sinistro, mettiamoci nella condizione di ascoltare un po’ di dialetto.

Sotto uno dei regimi più repressivi della storia brasiliana, lo Stato è stato coinvolto nella produzione, nella distribuzione e nell’esercizio cinematografico a tal punto che gli anni ’70 sono diventati l’epoca di maggior successo nella storia cinematografica del Paese.

Nel 1966 fu creato l’Istituto Nazionale del Cinema (INC) e nel 1967 furono introdotti sussidi alla produzione. Nel 1969 fu costituita un’altra agenzia statale, Embrafilme, inizialmente per promuovere i film brasiliani all’estero; nel 1975 aveva assorbito tutte le funzioni dell’INC e applicava una quota di schermi oltre a sovvenzionare la produzione locale.

Dal 1966 al 1971, la produzione annuale di film brasiliani è passata da 28 a 94, raggiungendo il picco di 102 nel 1980, il numero più alto di lungometraggi mai prodotti in Brasile in un solo anno, mentre la quota di schermi, aumentata provvisoriamente a 63 giorni all’anno per sala nel 1969, è stata fissata a 140 giorni all’anno nel 1980.

Purtroppo, queste statistiche non riflettono affatto la qualità. Sebbene registi come Glauber Rocha, Rui Guerra e Carlos Diegues, che erano stati di fatto costretti all’esilio durante gli anni più repressivi del 1971-72, siano tornati in patria durante gli anni del boom e del Cinema Novo e sebbene siano stati realizzati alcuni film di alta qualità, un nuovo genere, la porno chanchada, ha dominato sempre più l’industria cinematografica.

La commedia erotica

I prestiti a basso interesse contribuirono a rendere popolare questo nuovo tipo di commedia erotica: A Viúva Virgem (La vedova vergine, regia di Pedro Rovai), A Infidelidade ao Alcance de Todos (L’infedeltà alla portata di tutti, di Anibal Massaini Neto e Olivier Perroy) e Os Mansos (Mariti indulgenti, co-regia di Royai) ricevettero tutti prestiti nel 1972, generalmente considerato il primo anno della porno chanchada. In modo inquietante, nel 1981 oltre il 70% di tutta la produzione brasiliana di lungometraggi era pornografica – e meno “erotica” e “comica” di prima e più “hard-core” – e solo 1 di tutti gli 80 film realizzati non era né porno né prodotto da Embrafilme. Inoltre, 20 dei 30 film che hanno incassato di più nel 1988 erano “pornografici”, forse il nadir della produzione cinematografica commerciale brasiliana.

Certo, negli anni ’70 e nei primi anni ’80 sono stati realizzati molti buoni film, tra cui il fondamentale sguardo critico dell’argentino Hector Babenco sul mondo dei bambini di strada, Pixote (1980), l’adattamento erotico del ventitreenne Bruno Barreto di Dona Flor e Seus Dois Maridos (Dona Flor e i suoi due mariti, 1976) che ha battuto tutti i record di incassi brasiliani e ha fatto conoscere al mondo Sonia Braga, e tre importanti opere prime dirette da donne, Mar de Rosas (Mare di rose, 1977) di Ana Carolina, Gaijin (1980) del nippo-brasiliano Tizuka Yamasaki e A Hora da Estrela (L’ora della stella, 1985) di Suzana Amaral, studentessa della NYU.

Sempre alla fine degli anni Ottanta, il Brasile sperimenta la produzione creativa diffusa di cortometraggi e, con l’avvento di attrezzature video relativamente poco costose, vengono realizzati lavori significativi da parte di gruppi indigeni che, in precedenza, non avevano mai avuto accesso a nessun tipo di produzione cinematografica.

Fine degli anni ’80 e inizio del declino

Nel 1989, anno in cui il Paese ha vissuto l’elezione più democratica in oltre un secolo, la produzione cinematografica brasiliana è crollata a 25 lungometraggi e nell’aprile 1990, nello stesso giorno in cui il governo ha congelato una percentuale di tutti i conti bancari, il Ministero della Cultura è stato chiuso e Embrafilme è stata sciolta.

L’industria cinematografica brasiliana è praticamente crollata da un giorno all’altro.

Nel 1991 furono distribuiti solo 9 lungometraggi brasiliani e nel 1992 solo 6 film brasiliani uscirono nelle sale locali. Nel 1993, in mezzo alle continue crisi finanziarie e politiche, un nuovo Ministero della Cultura promise un sostegno di 25 milioni di dollari per il cinema brasiliano e l’anno successivo uscirono 10 film di produzione locale.

Nel 1998, la produzione di lungometraggi brasiliani era risalita a 40 titoli, O que e Isso Companheiro (Quattro giorni a settembre) di Bruno Barreto fu candidato all’Oscar statunitense come miglior film straniero e Central Station di Walter Salles vinse il premio più importante, l’Orso d’oro al Festival internazionale del cinema di Berlino.

Possiamo se vogliamo considerarlo la seconda tra le fasi del Cinema Novo Brasiliano, quella degli anni ’60.

Negli anni Sessanta, in seguito alla diminuzione delle opportunità di proiezione dei loro film, i rappresentanti del nuovo cinema brasiliano fondarono una propria società di distribuzione, la Difilm, insieme al produttore commerciale Luiz Carlos Barreto.

Cercarono anche di realizzare film più commerciali e, con Macunaima (regia di Joaquim Pedro de Andrade, 1969), il movimento ottenne il suo primo vero doppio successo: al botteghino e con la critica. Basato su un’importante “rapsodia modernista”/romanzo brasiliano dallo stesso titolo scritto da Mário de Andrade (nessuna parentela) nel 1926, Macunaíma, il film è anche l’opera chiave della terza e ultima fase “cannibal-tropicalista” del Cinema Nôvo.

Terza fase

Dopo il secondo colpo di Stato del 1968, il regime repressivo introdusse la censura, per cui i registi furono costretti a un approccio indiretto, ricorrendo all’ironia e all’allegoria. Il regista Joaquim Pedro de Andrade seguì queste tendenze, ma la sua strategia centrale fu la parodia. La tradizione dei B-movie brasiliani della commedia musicale, la chanchada, viene rievocata attraverso la caricatura e la riscoperta del grande comico Grande Otello che, sessantenne, interpreta il personaggio del titolo, Macunaíma, come un bambino.

Il film satireggia anche in modo comico l’illusoria armoniosa mescolanza razziale del Brasile e la sua “Alleanza per il Progresso” con gli Stati Uniti, e nella sua messa in scena sgargiante e carnevalesca, insieme ai suoi assurdi dialoghi pieni di proverbi, accompagnati da canzoni popolari inappropriate, Macunaíma fornisce un commento ricco e divertente sulla società brasiliana contemporanea.

Alla fine del film Macunaíma viene lasciato solo nella giungla amazzonica, dove gli unici colori sono quelli della bandiera brasiliana – giallo delle capanne di paglia e delle banane, verde della vegetazione e azzurro del cielo – e si butta in una piscina per inseguire l’inafferrabile dea Uiara.

Il sangue emerge dall’acqua fangosa (gialla) (blu), penetrando nella giacca completamente verde dell’eroe, che galleggia da sola sulla superficie dell’acqua, mentre un inno patriottico deride l’azione. In questa, ultima inquadratura del film, è chiaramente rappresentata la dichiarazione di Andrade sul suo film: “Macunaíma è la storia di un brasiliano divorato dal Brasile”.

Film simbolo della terza fase

Altri film chiave della terza fase sono Como era Gostoso o Meu Francês (Com’era gustoso il mio francesino, 1971) di Nelson Pereira dos Santos, che si presenta come un film finto-antropologico realizzato dalla prospettiva degli indigeni amerindi cannibali che incontrano i colonizzatori europei, e le opere estremamente allegoriche di Guerra, Os Deuses e os Mortos (Gli dei e i morti, 1970) e O Dragão da maldade contra o Santo Guerreiro di Rocha (tradotto letteralmente come “Il drago del male contro il santo guerriero”, ma con il titolo inglese “Antonio das Mortes”, 1969).

Lo stato d’animo deprimente del periodo fu catturato da un gruppo di giovani registi in fuga che realizzarono film udigrudi (underground) a bassissimo budget, deliberatamente “cattivi”, nichilisti e praticamente “anti-cinema”.

Per lo più in concomitanza con la terza fase del Cinema Nôvo, film come O Bandido da Luz Vermelha (Bandito a luci rosse, regia di Rogério Sganzerla, 1968), Matou a Família e Foi ao Cinema (Ucciso la famiglia e andato al cinema, regia di Júlio Bressane, 1969) e Bangue Bangue (Bang Bang, regia di Andrea Tonacci, 1971) suggerivano già solo con i loro titoli un controcinema aggressivo.

I nuovi valori dei cineasti Novi

I cineasti di quello che poi divenne noto come movimento Cinema Marginal rifiutarono quello che chiamavano il Cinema Nôvo Richo (Cinema Nouveau-riche) e sostennero la sostituzione dell'”estetica della fame” di Rocha con un’estetica del lixo (spazzatura).

All’epoca, questi film (per lo più anti-intellettuali) non erano graditi ai cineasti e ai critici del Cinema Nôvo (per lo più istruiti) e un altro regista, in definitiva più commerciale, fu associato all’udigrudi, anche se la sua carriera iniziò molto prima, José Mojica Marins.

Continuiamo a parlare di nuovo cinema brasiliano con uno dei suoi esponenti più rappresentativi: Nelson Pereira dos Santos.

La storia

Nelson Pereira Dos Santos è stato definito il “padre”, la “coscienza” e persino il “Papa” del movimento per l’impronta personalissima e insieme seminale che ha saputo dare a questa corrente.

Nel 1954, con la realizzazione di Rio Quarenta Graus (Rio 40°), dos Santos diede il via a quel tipo di cinema indipendente e a basso costo che divenne caratteristico del nuovo cinema brasiliano, potremmo dire un cinema “indie” dell’epoca, ma con accezione ben meno pop e molto più “popolare” in senso stretto.

Nel 1953, dos Santos aveva lavorato come assistente di Alex Viany in Agulha no Palheiro in “L’ago nel pagliaio”, il primo lungometraggio brasiliano ad adottare i principi del neorealismo italiano. Ad esempio, erano considerati elementi neorealisti le riprese in esterni, l’uso di attori non professionisti e la trattazione di argomenti contemporanei e popolari in modo molto semplice, diretto e non drammatico e teatrale.

Dos Santos si opponeva radicalmente al modello hollywoodiano imitato dai precedenti tentativi di industria brasiliana e considerava la sua adozione dei principi neorealisti un atto “politico”, parte consistente del Cinema Novo.

Rio 40

Rio 40° inizia con una samba popolare [“Voz do Morro”] del carnevale più recente, ma la forma narrativa serrata della chanchada viene rifiutata per una struttura episodica in cui i personaggi centrali sono sostituiti dalla città di Rio de Janeiro e dalla sua gente.

I suoi personaggi

Concentrandosi sui poveri afro-brasiliani e sulla loro interazione con gli altri livelli della società nei regni del futebol (calcio) e del carnevale, le due attività culturali più rilevanti per la vita della maggioranza povera dei brasiliani, Rio 40° ha gettato le basi per un movimento cinematografico che avrebbe raccontato la verità sulla misera condizione dei marginali del Brasile, sostenendo al contempo la ricchezza della loro cultura.

Corrente avanguardistica indispensabile per chi vuol dirsi un conoscitore della settima arte, il nuovo cinema brasiliano o Cinema Novo ha tanto, davvero tanto da raccontarci.

Facciamo qualche nome giusto per non rimanere completamente digiuni da questa corrente da riscoprire in toto.

Oscarito e Grande Otello

Qui si svilupparono le carriere di una grande squadra comica, Oscarito e Grande Otello. In particolare, sono apparsi in Carnaval Atlântida (1952, regia di José Carlos Burle), dove un produttore cinematografico di nome Cecilio B. de Milho cerca di filmare la vita di Elena di Troia alla maniera “epica” di Hollywood.

Oscarito interpreta un anziano professore di lettere, il professor Xenofontes, che aiuta i registi, mentre Grande Otello, nei panni di un malandro carioca (una tipica canaglia di Rio), aiuta a convincere i produttori che il film dovrebbe essere meno serio, più popolare e forse anche completamente infedele all’originale.

Lo studio Vera Cruz

Il successivo e più ambizioso sforzo dello studio brasiliano, Vera Cruz, a San Paolo, lavorò direttamente contro la volgarità percepita della chanchada popolare, cercando di produrre film che potessero competere a tutti i livelli con le produzioni straniere.

Sfortunatamente, i cineasti della Vera Cruz trascurarono di prendere in considerazione i gusti del pubblico brasiliano, fornendo loro film sofisticati ma di stampo europeo, e la società si chiuse dopo aver realizzato solo 18 lungometraggi nel 1954.

Il loro più grande successo fu il brasilianissimo O Cangoceiro (Il bandito, 1953, regia di Lima Barreto), che batté i record di incassi locali, vinse due premi a Cannes nel 1954 e fu distribuito in 22 paesi.

Alberto Cavalcanti

Alberto Cavalcanti, il regista brasiliano di maggior successo prima degli anni Sessanta, era stato assunto dalla Vera Cruz nel 1949 come responsabile della produzione, ma se ne andò prima del fallimento (forse fu licenziato) e girò altri due film per un’altra società, uno dei quali, O Canto do Mar (Il canto del mare, 1953), nel suo “realismo” anticipava il periodo più importante della storia del cinema brasiliano, il Cinema Nôvo degli anni Sessanta.

Il più grande Paese dell’America Latina, sia per estensione geografica che per popolazione, il Brasile è anche la patria di un importante cinema nazionale, che in Nord America e in altre parti del mondo ha ricevuto meno riconoscimenti di quanti ne meritasse, fino al recentissimo successo internazionale di Central do Brasil (Stazione centrale, regia di Walter Salles, 1998) e di Cidade de Deus (Città di Dio, 2002) di Fernando Meirelles/Katia Lund.

La prima proiezione di film in Brasile ebbe luogo nel 1896, solo sei mesi dopo la prima proiezione dei fratelli Lumiere a Parigi. Nel 1898, un italo-brasiliano, Affonso Segreto, iniziò a produrre film e, a partire dal 1900, i film di produzione locale iniziarono a dominare gli schermi brasiliani.

L’età dell’oro del cinema brasiliano

Il periodo 1908-1912 è stato definito la bela época, l'”età dell’oro” del cinema brasiliano, in cui la produzione raggiungeva i 100 cortometraggi all’anno. Dopo che nel 1911 gli imprenditori nordamericani furono accolti per sfruttare il mercato dell’esercizio cinematografico brasiliano, i film stranieri cominciarono a prendere il sopravvento. Sempre più spesso, durante gli anni rimanenti del cinema muto, i registi brasiliani furono relegati a produrre cinegiornali e documentari.

Tuttavia, da questo campo emersero alcuni film di finzione, tra cui le produzioni dell’immigrato italiano di San Paolo Gilberto Rossi, di cui il cortometraggio Exemplo Regenerador (Esempio moralizzatore, 1919), diretto e scritto dallo spagnolo José Medina, è l’unico esempio sopravvissuto del lavoro del gruppo. Il cinema brasiliano fu sostenuto per tutti gli anni Venti da cineasti che lavoravano lontano dai centri urbani di Rio de Janeiro e São Paulo in “cicli” regionali. Tra questi Silvinio Santos a Manaus (Amazzonia), Edson Chagas e Gentil Roiz a Recife (Pernambuco) e, soprattutto, Humberto Mauro a Cataguases (Minas Gerais). Questa cinematografia “indipendente” si orientava naturalmente verso l'”avanguardia” e un film realizzato in questo senso, Limite (Il confine, 1930), diretto dal diciottenne Mario Peixoto, anche se all’epoca non era molto visto, ha poi acquisito una tale notorietà da essere in cima alla lista dei “30 film più significativi della storia del cinema brasiliano” in un sondaggio dei critici cinematografici brasiliani degli anni Ottanta.

L’arrivo del sonoro

Spesso la tecnologia favorisce l’acculturamento.

Con l’avvento del sonoro e un problema linguistico per il pubblico di lingua portoghese che doveva continuare a guardare i film di Hollywood, il cinema brasiliano si è finalmente industrializzato. Adhemar Gonzaga fondò la Cinédia Sudios a Rio e un nuovo genere, molto brasiliano, dominò la sua produzione, la chanchada, che derivava dalla “revue” hollywoodiana e dal backstage dei musical mescolati al teatro comico brasiliano e al carnevale.

Carmen Miranda divenne una star di Cinédia e la sua “defezione” a Hollywood scatenò un’ondata di film brasiliani (e di altri film pan-latinoamericani) a tema, nell’ambito della politica del “buon vicinato”, che non fece nulla per promuovere i film latinoamericani negli Stati Uniti e il cui risultato più notevole fu l’incompiuta docufiction di Orson Welles, It’s All True (1941-42).

Nel 1943, Moacyr Fenelon fondò gli studios Atlântida a Rio, dove fu perfezionata la forma della chanchada, in cui la parodia fu sempre più incorporata, in parte con la consapevolezza che i film brasiliani non avrebbero mai potuto eguagliare la brillantezza tecnica di Hollywood.

(continua)

A prima vista la nave degli schiavi sembra raffigurare un bel tramonto su un mare tumultuoso. 

Un netto contrappunto agli orrori e alla barbarie che sono il vero soggetto. 

La fine della schiavitù

La partecipazione britannica alla tratta degli schiavi era illegale dal 1807, invece la schiavitù venne bandita nell’impero britannico meno di una trentina di anni dopo. 

Il dipinto fu inizialmente di proprietà del critico d’arte John Ruskin, ma alla fine il peso della proprietà divenne troppo per lui, così lo vendette. In America fu poi esposto nel 1877 al Museum of Fine Arts di Boston, dove avrebbe avuto un ruolo importante nel loro dibattito abolizionista, dato che la schiavitù americana era stata ugualmente abolita (1865).

Il soggetto del quadro è nel suo titolo originale completo “Schiavisti che gettano in mare i morti e i morenti – Tifone in arrivo”. Deriva dalla pratica comune, brutale e macabra nella rotta del Medio Passaggio della tratta degli schiavi dell’Atlantico di gettare in mare gli schiavi malati perché erano assicurati contro l’annegamento, ma non contro la morte per malattia. E nello specifico si riferisce al viaggio della Zong nel 1783, quando 132 schiavi furono uccisi in questo modo. Solo merci deperibili danneggiate nel trasporto e scartate.

Il grande amico e mecenate di Turner dalla fine del 1700 fino alla sua morte nel 1825 era il proprietario terriero, deputato, scrittore e attivista politico Walter Ramsden Fawkes che aveva fatto una campagna a fianco di William Wilberforce per l’abolizione della schiavitù. Turner aveva forti convinzioni su questa grande causa politica dell’epoca. Le sue convinzioni politiche significarono anche che prese una posizione contro la guerra con il suo dipinto ad olio Il campo di Waterloo del 1818, che infastidì così tante persone che fu tenuto sotto chiave per decenni. Fece anche una campagna per la riforma del voto con il suo acquerello Northampton del 1830, che è evocativo della rivoluzione francese.

Cenni di vita di un grandissimo artista

Turner fu professore di prospettiva alla Royal Academy per 30 anni, quindi non sorprende che in Slave Ship abbia usato molte tattiche per creare uno spazio fittizio credibile e per sospendere la nostra incredulità, in modo che il terrore colpisca in pieno. La composizione è dipinta da una prospettiva elevata, come se si guardasse dal ponte di un’altra nave. Il bagliore riflesso del sole taglia un solco attraverso il tumulto, fornendo il nostro riferimento principale e formando una croce cristiana con l’orizzonte. Altre linee all’interno del dipinto puntano verso il sole come punto di fuga, la scala comparativa tra gli oggetti in primo piano e la nave rafforza l’effetto.

Il dipinto è totalmente asimmetrico e in gran parte privo di dettagli. La nave in lontananza a sinistra è uno spettro che naviga verso una vastità oscura (o è una costa rocciosa con frangenti alla sua base?). Questo immaginario può essere visto come una condanna della natura dell’atto, una punizione divina. In primo piano ci sono gli schiavi morti e morenti, divorati dalla vita marina e abbandonati al loro destino, posti vicino allo spettatore dell’immagine per il massimo impatto orribile.

L’uso del tono è drammatico e convincente. La semi-silhouette oscurata della nave a cavallo tra le aree più chiare e quelle più scure dell’immagine. La luminosità generale della parte destra dell’immagine che contrasta con l’oscurità generale della parte sinistra. E attraverso tutto questo la luminosità bruciante del tramonto che divide in due l’intera composizione e la trasforma in una sorta di trittico. Il cielo a sinistra, sopra la nave, è lacerato e violento mentre a destra è calmo e tranquillo, con macchie di blu.

Mentre la luce dovrebbe venire verso di noi dal tramonto, Turner ha usato la licenza artistica per farla arrivare da molte direzioni, per esempio illuminando il nostro lato della nave e la gamba ammanettata che spunta dall’acqua. Questa libertà gli permette di modellare il mare in modo che le onde siano tangibili, con forma e volume reali, mentre allo stesso tempo sono impegnate in un violento tumulto e movimento. 

Ecco che basta poco, per capire quando un quadro è un grande quadro.

Ma dubito che sia facile ottenere l’effetto, da parte di chi crea.

Quindi, godiamoci Turner!