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L’utilizzo del traduttore automatico è una frontiera.

Una frontiera tra l’esattezza lessicale che viene richiesta dal buon traduttore nelle scuole di linguistica odierne, e dall’altro lato la necessaria contestualizzazione del materiale tradotto.

Traduttore automatico

E’ evidente che tra le due sia più difficile raggiungere la seconda, per un traduttore automatico. Per quanto riguarda la prima, le regole grammaticali impostate dai programmatori come ferree consentiranno un minore margine di errore. Va detto che la varietà che la mente di un traduttore consente, e tutte le sfumature di un termine, di un’immagine, forse non saranno immagazzinate in quella macchina specifica. Però vorrei dire che quando lessi alcune poesie di Baudelaire, masticando un po’ meglio il francese di quanto io faccia ora, mi trovai in disaccordo con alcune delle traduzioni proposte.

Traditore

Il traduttore traditore è una figura che di per sé ricompare in alcuni ambienti nella storia della letteratura. Tradire è già passare da una lingua a un’altra, perché il retaggio culturale e regionale che un autore imprime al proprio testo sono variabili. Variabile è anche e già la percezione che un lettore se ne fa, a seconda della propria percezione linguistica.

Certo, non vogliamo sfociare nel relativismo più scevro, ma per capirci, qualche problema con la traduzione c’è sempre stato, ed è sempre stato percepito. Ma come si insegna, dunqeu, questo contesto alle macchine?

Il contesto spiegato alle macchine

Il contesto in cui calare un sintagma è inserito grazie a processi di machine learning nella cui complessità non saprei addentrarmi. Quel poco che mi pare di aver capito è che alla macchina viene insegnato “come imparare”. ovvero, le viene sottoposta una quantità di dati sempre variabili, e quello che dovrà apprendere sarà come scremare le casistiche.

Quello che fanno “manualmente” i linguisti che studiano un corpus, la macchina lo eseguirà grazie alla propria abilità di calcolo.

Nella prossima puntata vedremo meglio quest’ultimo punto.

 

Che ci sia un genuino desiderio d’inchiesta dietro chi utilizza il traduttore automatico, è fuor di dubbio.

Traduttore automatico e “Dire quasi la stessa cosa”

Il traduttore automatico sembra essere oggetto di sempre più attenzioni da parte degli internauti. E’ evidente che un Salinger non potrà essere affidato alle larghe maglie di Google Translate, come anche una nota medica. Comunque, l’importanza del documento che si desidera tradurre è direttamente proporzionale al desiderio d’inchiesta: cosa c’è scritto? Ma inversamente, ahimé, all’opportunità di utilizzare un traduttore automatico.

“Dire quasi la stessa cosa” è un saggio del 2003 di Umberto Eco. Iniziava appunto con una rassegna molto divertente di alcuni esperimenti falliti con i traduttori automatici all’epoca in circolazione. Mi rende un po’ perplesso pensare che 15 anni fa fosse già quasi un’era diversa, però dimostrerò come le cose non sono poi tanto cambiate.

DeepL

Ho sentito molto parlare di DeepL, il traduttore che dovrebbe fare da diretto concorrente a Google. La traduzione cerca di basarsi sui processi neurali che l’uomo compie per comprendere e articolare il linguaggio, con l’ambizione di universalizzare la semantica e le scienze cognitive umane. Questa è la traduzione di questo primo paragrafo, inserito in DeepL:

“I’ve heard a lot about DeepL, the translator who should be the direct competitor to Google. The translation tries to be based on the neural processes that man performs to understand and articulate language, with the ambition to universalize semantics and human cognitive sciences. This is the translation of this first paragraph, inserted in DeepL”.

L’inchiesta sul significato

Cosa ne penso? Trovo che sia una buona traduzione. Il senso tecnico del mio paragrafo, scritto in un italiano piuttosto ordinario, è stato rispettato. Per la nota di un medico forse può andar bene, anche se ho fatto altri esperimenti con la poesia, e non sono stato così fortunato.

Ma la mia curiosità, che risponde a un naturale bisogno umano, non si è fermata. Ho pensato a un poeta che rispetta la semantica della prosa, che rispetta la metrica. Ci ho messo anche un’apostrofe, e ecco qui la traduzione dell’ultimo paragrafo di “Pianto Antico” di Carducci:

“Thou art of my plant
Beaten and withered,
You of the useless life
Extreme unique flor,
Six in the cold land,
Thou art in the black land;
Nor the sun most rejoices thee
nor does it awaken your love”.

Devo dire che sono colpito.

Non sono un amante della televisione, anche se ogni tanto mi capita qualche programma di approfondimento, oltre ovviamente ai telegiornali rubati nei luoghi pubblici.

La buona vecchia tv

L’aspetto folcloristico della televisione ha però sempre stuzzicato in qualche modo il mio interesse.

Forse il non avere troppo vicino a me esempi di degradazione dovuta al tubo catodico mi ha portato a una tolleranza che altri miei conoscenti non hanno: capisco, umanamente, che vedere ad esempio i propri genitori in completo abbandono sul divano, soprattutto se da quell’età nella quale il dinamismo comincia a venir meno anche per fattori meramente fisiologici, sia piuttosto sgradevole.

Il Pasolini dentro ognuno di noi

Quindi facilmente la mia posizione mi porta a osservare con una certa curiosità chi ancora dedica ore intere della propria vita alla televisione. Anche se ora è evoluta e non più tubo catodico, e l’on demad ne ha definito i contorni, e programmi più internazionali si fanno strada, resta a mio parere un passatempo noioso e abbastanza alienante.

Ho trovato sulle televisioni nazionali ottimi documentari. Anche sulle private, selezionando e sopportando la millesimazione dovuta alle continue pubblicità.

I quiz a premi

Una cosa che però esito ancora a capire sono i quiz a premi. Ecco, a proposito di questi, ne avevo un ricordo infantile, che non è stato aggiornato con una prova empirica continua. Quindi, mi sono ritrovato a ri-vederla dopo decenni, e poi ancora dopo altri, oggi.

Mi sembra di aver notato un particolare che lì per lì ho trovato davvero preoccupante: le domande di cultura generale sono quasi totalmente scomparse. Se prima l’aver frequentato un liceo classico metteva al riparo dagli scivoloni di un’ignoranza popolare, ora non è più così. Il gossip, mi sembra di capire, la fa da padrone.

E’ proprio vero che nessuno si bagna due volte nello stesso fiume.

L’ambiente universitario va tenuto monitorato. La questione dei corsi in inglese al Politecnico di Milano non fa che aprire, come molte altre questioni universitarie, uno spaccato della classe dirigente italiana.

Questo è quello che avrei detto, in una situazione simile, negli anni ’80. Quando ancora le università erano a un soffio dall’essere massificate, quando ancora molti corsi si svolgevano a ciclo unico. Mi sentirei di dire che il prestigio dell’università, a livello comune, non è calato, ma compirei un’appropriazione indebita di un diritto a valutare che non spetta a me.

Ora, oggi più che spaccato di classe dirigente, possiamo forse parlare di cartina al tornasole della società. Più appropriato, vista come già detto la massificazione dell’università. E poi, sul fatto che la classe dirigente sia italiana, ci sono alcune parole da spendere.

Solo e soltanto corsi in inglese

Per capire la portata della sentenza del Consiglio di Stato, che ha negato al Politecnico di Milano il diritto di tenere i suoi corsi soltanto in inglese, vanno considerati diversi aspetti. Non tratterò di quelli logistici, che prevedono secondo me un dibattito piuttosto sterile: quando si decide per un provvedimento, tutte le misure per attuarlo vengono prese a posteriori, con alcuni piccoli sconvolgimenti, una fase di rodaggio, e poi l’applicazione.

Sebbene molti abbiano trovato l’esultanza dell’Accademia della Crusca del tutto anacronistica, io ritengo di vedere in questo provvedimento un guizzo di autorevolezza notevole.

Oggi nella “classe dirigente”, come la si chiamerebbe in senso marxista, l’inglese non è ossessione ma ossequio dovuto, quasi inintellegibile però. Nessuno loderà costumi anglosassoni, no, è ben compreso che questa lingua barbarica è un veicolo di spostamento delle nostre maestranze e illuminati concetti all’infuori della madrepatria.

Come la conoscenza del francese all’inizio del secolo scorso? Penso che la vedano così i promotori dell’internazionalismo esclusivo, ovvero quelli che promuovono i corsi al Politecnico solo in inglese.

Ma l’inglese di oggi non è il francese del secolo scorso. Ricordo che un cinese fatica a parlare in inglese, in molti casi non lo sa. Un emiro arabo, molto spesso a fatica. Un magnate sudamericano, lo ostenta magari. Stiamo procedendo a stereotipi, ma il mio punto è: se l’inglese non è più veicolo univoco di internazionalismo, perché non in tutto il mondo è lingua veicolo… Che senso ha l’eurocentrismo del metterlo come unica lingua?

Il rischio è sempre la parvenza di ossequio versa un’altra sovranità nazionale. E non il legittimo desiderio di internazionalismo, che di per sé è neutrale.

 

La vigilanza in araldica viene rappresentata da una gru che rimane sollevata con la sola zampa sinistra, mentre con quella destra stringe un sasso. Tra le figure araldiche quella della gru è forse tra le meno popolari, ma la sua storia mi è sembrata da sempre così emblematica della realtà. Nel caso la gru dovesse addormentarsi e lasciarsi sfuggire il sasso, il rumore che questo produrrebbe cadendo la sveglierebbe, da qui la rappresentazione della vigilanza. Banalmente semplice no? Eppure come non notare la realtà di questa rappresentazione.

Spesso siamo così legati a quello che abbiamo, lottiamo molto per ottenere quello che desideriamo, sia che si tratti dell’ambito della conoscenza, della carriera o della famiglia. Quante volte però terminata la fatica della lotta e il compiacimento successivo ci dimentichiamo di quello che abbiamo conquistato? Quante volte come la gru ci addormentiamo lasciandoci sfuggire quello che così duramente avevamo raccolto? Troppe volte diamo per scontato quello che ci circonda, ma è umano.

Tra le tante cose che non dobbiamo dare per scontato tuttavia c’è la nostra conoscenza e quella dei nostri figli. Mi sono imbattuto nel fatto che ormai più di del 60% degli italiani non leggono nemmeno un libro durante l’anno e che, come immaginabile, i figli che non vedono i genitori leggere sono più propensi a non prendere in considerazione questa attività.

Certo è comprensibile che con i ritmi della vita di oggi si faccia davvero fatica  a ritagliarsi un attimo di tempo, di spazio, per sedersi comodi e leggere un buon libro. Spesso si rincasa tardi, stanchi e con ancora mille cosa da fare. Chi è genitore poi lo sa, non si vede l’ora di tornare ad abbracciare i propri figli, raccontarsi a vicenda le proprie giornate. Isolarsi dietro a delle pagine è un vero peccato.

Vigilanza nell’educazione o passatempi insieme?

Non credo che una cosa debba per forza escludere l’altra. Sarebbe bello però riuscire a dedicare una serata in cui invece di guardarsi un film, si legge un libro, anche tutti insieme. Educare le nostre generazioni a quel patrimonio infinito che è la cultura, servirà anche a farle crescere come persone e innalzare il loro valore a livello di capitale umano per il lavoro futuro. Abituarli al tatto del libro, a sfogliarlo, respiralo, a viverlo non soltanto come imposizione scolastica ma facendogli capire che può essere un vero piacere. I libri non sono solo contenitori noiosi, ma opportunità per condividere un’avventura o un viaggio insieme.

Non dimentichiamoci di leggere, non dimentichiamoci di insegnare a leggere, non lasciamoci svegliare come la gru dal sasso ormai caduto.

“impegnatevi, superatevi, siate felici”

Tra i tanti modi di fare gli auguri per il nuovo anno, ho scelto queste parole.

Paolo Giorgio Bassi

Il giudizio sugli effetti del Jobs Act è ancora “prematuro” per farlo, tuttavia si registrano segnali positivi per quanto attiene l’aumento delle assunzioni a tempo indeterminato nel secondo trimestre del 2015, probabilmente anche a causa dei consistenti sgravi fiscali.

In sintesi questa è la dichiarazione del Governatore della Banca d’Italia rilasciata qualche giorno fa.

Il mercato del lavoro sembra segnare una debole ripresa, i meccanismi di sostegno del reddito dei disoccupati e i nuovi contratti a tempo indeterminato sembrano aver offerto più respiro all’economia.

Una valutazione sugli effetti dei provvedimenti del governo è prematura anche se qualche minimo segnale positivo occorre registrarlo.

Bisogna continuare a riformare il Paese affinchè la ripresa dell’occupazione dia segnali consolidati verso forme più stabili.

Investimenti e Sviluppo nella istruzione universitaria.

Lawrence H. Summers, in un documento pubblicato nel “Progetto Hamilton” il 30 marzo 2o15, sostiene che l’andamento dell’economia negli ultimi decenni, compresi: gli sviluppi tecnologici, la globalizzazione e il commercio elettronico,  hanno indebolito la capacità di guadagno di coloro che godono di bassi livelli di competenze, in particolare di coloro che non possiedono la laurea.

Negli ultimi decenni, i guadagni di coloro che possiedono un diploma di laurea sono aumentati costantemente, mentre i salari di coloro con bassi livelli di istruzione hanno subito una perdita.

Questa linea di analisi porta a ritenere che per perseguire l’obiettivo di una diffusa eguaglianza economica, sarà necessario aumentare il livello di istruzione nella popolazione.