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Continuiamo dopo l’articolo sulle SPAC con qualche ripassino finanziario. Oggi, per la gioia di chi ama il brivido, parleremo di short-selling.

Il short-selling è un tipo di operazione finanziaria che consente ai trader di guadagnare profitti anche quando il prezzo di un titolo scende. Sembra adrenalinico, e in effetti lo è!

Come però spesso accade in finanza, non è tutto oro quel che luccica.

Come funziona il short-selling

In sostanza, il short-selling funziona in modo opposto all’acquisto di azioni. Invece di acquistare un titolo e aspettare che il prezzo aumenti per poi vendere, con lo short-selling si vende un titolo che si prevede possa scendere di valore in futuro. Di conseguenza, quando effettivamente il prezzo scende, il trader acquisterà il titolo al nuovo prezzo più basso per poi rivenderlo a un prezzo ancora inferiore, incassando la differenza.

Il short-selling, dunque, è una strategia utilizzata dai trader che si basa sulla capacità di individuare i titoli che possono subire una correzione al ribasso. In questo modo, i trader possono effettuare guadagni anche in caso di mercati in ribasso, scommettendo contro le previsioni degli analisti o delle compagnie che emettono i titoli stessi.

Short-selling: attenzione a non ridere in faccia al rischio!

Va però sottolineato che il short-selling deve essere effettuato con molta attenzione in quanto si tratta di un’operazione rischiosa. Infatti, se il prezzo del titolo sale anziché scendere, il trader dovrà comunque acquistarlo per coprire la sua posizione, subendo una perdita economica. In alcuni casi, se il prezzo del titolo continua ad aumentare, le perdite possono essere molto elevate.

Per questo motivo, il short-selling è spesso considerato uno strumento finanziario riservato ai trader esperti, anche se ultimamente è diventato sempre più accessibile anche ai trader privati grazie alle piattaforme di trading online.

Il vantaggio è che può essere effettuato su diversi tipi di titoli, dalla azioni ai bond, ai futures e anche alle valute. Tuttavia, a seconda dei mercati e dei regolamenti, potrebbero esistere alcune limitazioni o restrizioni sulle operazioni di short-selling.

Inoltre, proprio per la natura rischiosa e complessa delle operazioni di short-selling, gli organismi di vigilanza finanziaria di alcuni paesi hanno introdotto regole specifiche per limitare l’uso delle operazioni di short-selling. Questo per evitare che i trader possano manipolare il mercato e creare panico.

Insomma… Se non si fosse capito sto consigliando ai trader non esperti di desistere dal short-selling.
Davvero, meglio affidare le proprie finanze o a un professionista qualificato, o a strumenti più lenti, ma più affidabili.

Le Special Purpose Acquisition Companies, conosciute anche con l’acronimo “SPAC”, sono una nuova forma di strumento di investimento che sta prendendo sempre più piede nel mondo della finanza.

Cosa sono le SPAC

Una SPAC è una società fondata con l’unico scopo di raccogliere fondi tramite un’offerta pubblica iniziale (IPO, Initial Public Offer), per poi acquisire un’altra società esistente, solitamente una startup o una società a bassa capitalizzazione. Una volta raccolti i fondi, la SPAC ha 24 mesi per acquisire l’azienda target. Se l’acquisizione non avviene, i fondi vengono restituiti agli investitori.

La storia delle SPAC

Le SPAC sono state introdotte per la prima volta negli Stati Uniti negli anni ’90, ma sono diventate popolari solo negli ultimi anni. Nel 2019, le SPAC hanno raccolto circa 13,6 miliardi di dollari, mentre nel 2020 hanno raccolto oltre 83 miliardi di dollari. Molte società di investimento hanno creato le loro SPAC, tra cui Pershing Square con la sua Pershing Square Tontine Holdings.

A chi conviene investire in SPAC

Rispondiamo alla vera domanda che si pone l’investitore: le SPAC convengono? 

Per prima cosa, devo mettervi in guardia: sono una forma di investimento ad alto rischio, ma possono essere anche molto redditizie. 

In generale, le SPAC sono adatte ad investitori che hanno una buona comprensione dei mercati finanziari e delle società in cui intendono investire. Le SPAC possono offrire agli investitori l’opportunità di investire in società innovative e di crescita a un prezzo inferiore rispetto all’acquisto diretto di azioni dopo l’IPO. Tuttavia, gli investitori dovrebbero valutare attentamente i rischi associati alla SPAC, tra cui la possibilità che l’acquisizione non avvenga o che l’azienda acquisita non sia redditizia.

Sono redditizie?

Seconda domanda scottante. La redditività delle SPAC dipende dalla capacità della società di acquisire un’azienda target di successo. Se l’acquisizione ha successo, gli investitori possono vedere un aumento significativo del prezzo delle azioni della SPAC. Tuttavia, le SPAC sono ad alto rischio, e gli investitori dovrebbero valutare attentamente i rischi prima di investire. Inoltre, i costi associati alle SPAC sono generalmente più elevati rispetto a quelli delle IPO tradizionali, il che può avere un impatto sulla redditività degli investimenti.

Come al solito, concludo con un: siamo sicuri che ne sai abbastanza per investire?
Fortuna prodentes iuvat.

(continua dal precedente sul rapporto tra cultura aziendale e finanza)

In primo luogo, una cultura aziendale positiva ha buone ricadute sulla reputazione del brand. I clienti sono fidelizzati e motivati, così come i dipendenti. Ci sono diversi studi che provano i modo schiacciante come un alto livello di engagement dei dipendenti porti a una decrescita del turnover.

Infine, la giusta cultura aziendale promuove cambiamenti positivi con maggiore innovazione e nuovi prodotti, che possono stimolare la produttività o espandere la base di clienti di un istituto finanziario. 

A questo proposito cito di nuovo un articolo di Forbes in cui si rilanciano le parole di John Chambers, ex amministratore delegato di Cisco.

Chambers sostiene che “il 40-50% delle Fortune 500 non esisterà più entro un decennio”. Secondo Chambers, l’attuale crisi è un momento spartiacque in cui sopravvive solo chi ha le forze e le caratteristiche adatte per sopravvivere.

Anche se resta da vedere quanto saranno efficaci i documenti che consigliano alle istituzioni finanziarie e ad altri settori di adottare la cultura “corretta”, non c’è dubbio che una cultura positiva e innovativa sia fondamentale per il successo di qualsiasi azienda. È uno studio senza fine, come del resto prevede l’imprenditorialità e la consulenza di un certo livello.

A cultura aziendale cambia nel tempo, e il mondo dei prodotti finanziari non può rimanere indietro.

C’è un fatto accaduto questo settembre che vale la pena menzionare, se parliamo di cultura aziendale e finanza: la Monetary Authority di Singapore, una delle principali autorità di regolamentazione finanziaria del mondo, ha pubblicato due documenti che parlano di cultura. 

Il primo documento si concentra su nove risultati che l’autorità ritiene debbano essere raggiunti da tutte le istituzioni finanziarie, il secondo cinque risultati che le istituzioni finanziarie dovrebbero raggiungere per rafforzare la responsabilità e promuovere un comportamento etico.

Una cultura aziendale nuova

Welfare, benessere psicologico sul posto di lavoro, inclusività… La cultura aziendale vira negli ultimi anni sempre più decisamente verso un miglioramento di standard, ma anche verso una creazione di standard condivisi, orientati al benessere globale dei dipendenti e dirigenti e a un migliore bilanciamento vita/lavoro. 

Dall’intrattenimento all’industria tecnologica, le aziende si stanno riorientando verso nuovi standard lavorativi .

Quindi, perché concentrarci nello specifico sul settore finanziario?

“Cultura” come norme implicite

In un articolo su Forbes ho letto il parere di William Dudley, ex amministratore delegato della Federal Reserve Bank di New York. Dudley ha descritto la cultura come “le norme implicite che guidano il comportamento in assenza di regolamenti o regole di conformità”. 

Andrew Bailey, governatore della Banca d’Inghilterra, ha detto invece che la cultura è “ovunque e in nessun luogo”. 

Insomma, senza voler partecipare alla disputa medievale sugli universali, e quindi stabilire se la cultura esiste o meno, mi sento di assentire anche con Bailey: spesso non serve un codice scritto per affermare come una serie di comportamenti siano radicati in un gruppo sociale (in questo caso, in un ambiente lavorativo). Semplicemente, vengono messi in pratica.

Forse, e questo lo aggiungo io, il ruolo dell’arte e della letteratura è proprio questo, cogliere l’in-standardizzabile sotteso al modo in cui agiamo e ci comportiamo con i nostri simili.

Se è buona arte, senz’altro.Ma al di là di queste definizioni, vediamo come finanza e cultura aziendale coesistono e perché è fondamentale una loro interazione proficua.
(Continua)

Oggi ci sono i funerali di Stato della regina Elisabetta, ma dato che a noi interessa l’economia britannica, eviterò di addentrarci nel gossip.

Il regno di Elisabetta in dati 

Il PIL ha visto dei cali e dei boom molto importanti. La crisi finanziaria del 2008 – vedete la banca britannica Northern Rock – è stata uno dei problemi che hanno più impattato sul calo repentino che ha interessato la produttività di quell’anno.

Le nascite sono state favorite dai migranti, il che ha creato una società decisamente più plurale.

Il Commonwealth è cresciuto, dai 5 stati iniziali che ora sono 53. Parliamo di un impero britannico considerato grande a livello globale, con gli errori correlati al colonialismo che tutti conosciamo, e che specialmente per noi italiani privi di un corrispettivo sono ancora più evidenti – guarda un po’!

Le lauree femminili sono cresciute moltissimo dal 1950 a oggi.

I salari reali sono sempre riusciti a battere l’inflazione, tranne nell’ultimo periodo. Hanno sempre avuto più potere d’acquisto rispetto ai prezzi.

Se dovessimo fare una media della crescita dei salari, abbiamo un +2,27%. 

Per quanto riguarda l’import, la Cina sostituisce l’Europa. Dall’Europa occidentale arrivano gran parte delle importazioni ed esportazioni, e nel mentre decrescono Canada, Australia, Sri Lanka, Sudafrica e India.

Questi sono i fattori cambiati con il regno di Elisabetta II, che oggi salutiamo.

Nulla è meno conoscitivo e più affascinante del fenomeno statistico dell’overfitting. 

Ora che siamo in clima di elezioni politiche, nulla è più attuale, immersi come siamo in costanti previsioni, poll preventivi, sondaggisti, strategie enunciate in modo da cinico a sempre più accorato.

Ma rimaniamo ancorati alla realtà: non c’è davvero modo di sapere come andrà un’elezione. Il più fine analista e stratega politico non potrà infatti tracciare con precisione non solo i sommovimenti del conteggio di un sistema elettorale misto e difficilmente prevedibile dato che sono state eliminate le preferenze, ma anche la “pancia” degli indecisi.

Gli indecisi sono infatti difficilmente prevedibili.

E qui torniamo al fenomeno dell’overfitting.

Cosa significa overfitting

L’overfitting o sovradattamento è un termine della statistica che descrive un modello statistico molto complesso che sembra prevedere un fenomeno, ma in realtà si sta solo adattando ai dati osservati.

Ciò accade perché tale modello ha un numero eccessivo di parametri rispetto al numero di osservazioni, e come la scienza ci insegna, la conoscenza viene data da un connubio oculato tra empirismo e teoria.

È quindi evidente che l’overfitting sia un problema importante durante i sondaggi politici, così come in tutti gli schemi che ambiscono a essere previsionali. Non dobbiamo lasciare che le regole del nostro pensiero soverchino mai l’osservazione umile e scientifica della realtà.

Abbiamo visto cos’è una pillola avvelenata, ma non abbiamo scandagliato bene tutti i suoi ambiti di utilizzo.

La natura della pillola avvelenata è tale che può essere adottata da una società, in quasi tutti i casi, senza il consenso degli azionisti. Il consiglio di amministrazione adotta semplicemente una delibera che approva il piano dei diritti degli azionisti e questi ultimi lo ricevono, senza necessariamente dover prendere parte al processo decisionale. 

Come si comporta una pillola avvelenata all’opera?

In definitiva, non è chiaro come si comporterebbe una pillola in caso di attivazione, poiché nessuna azienda ha mai attivato una pillola avvelenata. L’attivazione della poison pill provocherebbe talmente tanta incertezza e rischio per l’acquirente che quest’ultimo, in genere, preferisce negoziare con il consiglio di amministrazione o abbandonare la società piuttosto che affrontare il rischio di far scattare la clausola.

La vera funzione della pillola avvelenata

L’attivazione di una poison pill potrebbe danneggiare un’azienda diluendo il valore delle sue azioni. La domanda che ci si pone è: perché un’azienda dovrebbe intenzionalmente danneggiare se stessa?

La risposta è che la poison pill non ha lo scopo di danneggiare l’azienda, ma piuttosto di dissuadere qualsiasi potenziale acquirente dall’acquisire una quota troppo elevata dell’azienda senza il consenso della direzione. In apparenza, la pillola rappresenta una barriera nella proprietà che un acquirente non può superare. In questo modo, nessun acquirente potrà acquisire la piena proprietà di un’azienda senza prima rivolgersi al management (o, in alcuni casi, al tribunale) per negoziare una potenziale acquisizione. 

In poche parole: la pillola avvelenata allontana gli offerenti ostili.

L’acquirente davvero interessato, infatti, sarà costretto a collaborare con il management per cercare di far revocare il piano di diritti. Una volta al tavolo delle trattative, l’acquirente deve chiedere alla direzione di sponsorizzare una risoluzione che preveda il “riscatto” della pillola da parte degli azionisti e la rimozione da ogni azione. Se il consiglio di amministrazione è d’accordo e la pillola/piano dei diritti viene annullata, l’acquirente può procedere e completare la transazione. 

Tuttavia, se il consiglio di amministrazione non viene consultato o non gradisce i termini dell’offerta fatta dall’acquirente, la direzione può lasciare la pillola al suo posto e attendere semplicemente un’offerta migliore o un’altra soluzione.

La “pillola avvelenata” serve ad allontanare delle acquisizioni indesiderate d’azienda o a far lievitare il prezzo pagato da un acquirente che vuole imporre un’acquisizione ostile dell’azienda. La poison pill è un dispositivo meccanico progettato per funzionare in risposta all’acquisizione da parte del pretendente di un’ampia percentuale dell’impresa presa di mira. 

Come si costituisce la pillola al veleno

Una pillola di veleno assume la forma di un piano dei diritti degli azionisti. In sostanza, l’adozione di una poison pill è un’operazione che prevede l’assegnazione di un dividendo specifico a ciascuna azione in circolazione della società, consentendo agli azionisti di acquisire grandi quantità di azioni a fronte di un corrispettivo minimo o nullo in caso di un’offerta pubblica di acquisto ostile. La pillola funziona in modo tale che, se un offerente tenta di acquisire una determinata percentuale di proprietà dell’azienda, il piano viene attivato. In seguito all’attivazione della pillola, le azioni aggiuntive possono essere acquistate dai correnti azionisti a prezzi molto bassi. Il risultato è che il valore delle azioni acquistate dall’offerente entrante viene fortemente diluito, vanificando così l’offerta di acquisto.

 

ESEMPIO: Il management è molto preoccupato. Recentemente, nel settore in cui opera l’azienda, si sono verificate numerose attività ostili. Data la situazione, la direzione ha deciso di adottare un piano dei diritti degli azionisti in base al quale, se un offerente ostile acquisisce più del 15% delle azioni in circolazione dell’azienda, il piano scatta. L’attivazione (l’acquisto di più del 15% delle azioni in circolazione) dà diritto agli azionisti di pagare 1 dollaro per azione (invece dei 58 dollari a cui le azioni sono attualmente scambiate) ed è disponibile solo per gli azionisti che detenevano azioni prima dell’adozione del piano. In questo modo, la società ha creato una pillola al veleno che produrrebbe una massiccia diluizione del valore delle azioni in caso di tentativo di acquisizione ostile.

Sommerso, attività illegali e passibili di condanna… Tutto ciò fa parte dell’ampio contenitore che in economia chiamiamo “non osservato”. In sostanza, si parla di tutto ciò che sfugge alla rilevazione diretta, comprendendo quindi anche i contratti e le transazioni di denaro informali, che non vengono registrati in un sistema centralizzato. 

Per economia non osservata si intendono tutte quelle attività economiche che per diverse ragioni non risultano direttamente rilevabili. Le Nazioni unite hanno sistematizzato le categorie che possono rientrare all’interno di questa definizione. 

Si parla di attività non registrate, perché impossibili da tracciare da parte delle imprese stesse, oppure da chi si occupa di raccogliere le statistiche. Oppure si parla dell’economia sommersa, ovvero tutti quei traffici economici non dichiarati al Fisco, tra cui l’economia informale. 

Infine, abbiamo anche ovviamente i lavori e i traffici commerciali illegali, da sempre visibili al radar della statistica solo attraverso analisi di merci sequestrate, denunce di furto in qualche caso, o anche semplice visione attorno a sé di fenomeni che si conoscono benché non siano inquadrati da analisi specifiche.

Una zona grigia, insomma. 

Quando si calcola il PIL bisogna anche essere in grado di considerare l’economia non osservata.

Quel che è più interessante, soprattutto per i neofiti dell’economia, è che non si parla di ricchezza in quanto tale, ma piuttosto di valore aggiunto, ovvero la differenza tra il valore finale e quello dei beni necessari a produrlo.

In Europa

Dal 2014 tutti gli Stati Membri hanno dovuto inserire nel Pil anche le stime dei traffici derivanti da prostituzione, produzione e commercio di stupefacenti e contrabbando di sigarette. Anche gli affitti in nero e i falsi fatturati sono stati inseriti nel conteggio italiano.

Secondo l’ISTAT parliamo di 203 miliardi di euro di economia non osservata in Italia nel 2019.

Una cifra in costante calo, il che può significare sia la maggiore abilità di occultamento da parte di chi si occupa di economia non osservata, sia una inversione di tendenza.

 

Chissà!

Oggi l’analisi dei mercati si preannuncia più difficile del solito. I mercati sembrano in tumulto e le criptovalute stanno ancora soffrendo dopo il recente crollo.
Ma andiamo con ordine.

Come vedere il sell-off di ieri

C’è ancora spazio per scendere, sembrano dire alcuni analisti di rilievo, e mi sembra una considerazione sensata.

Il movimento dell’S&P 500 di lunedì ha spinto l’indice di riferimento al 20% dai suoi massimi precedenti.

Ma l’S&P 500 è pronto per un ulteriore ribasso dell’8% dopo aver subito un grosso crollo, complice la generale incapacità di superare alcune resistenze e la mancanza di segnali rialzisti da parte degli indicatori.

Tutto ciò avviene fondamentalmente perché molti investitori sentono, in lontananza ma ben distinto, l’odore della recessione.

Altri fattori da monitorare

Un altro motivo va sommato a questo quadretto: il rialzo dei tassi, sia da parte della BCE, sia da parte della Fed.

Secondo il principale stratega azionario statunitense di RBC Capital Markets, è assai probabile che avremo un rally di mercato “rapido e furioso”.

Gli investitori dovrebbero comprare dei titoli sottovalutati e ad alto rendimento – è facile rendersene conto consultando dividendi e rendimenti di cassa liberi, a fronte di valutazioni insolitamente basse.