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Mi è capitato di sentire dei novellini della finanza porre la questione. I fondi indicizzati e gli ETF (Exchange-Traded Funds) sono entrambi strumenti di investimento che permettono di ottenere esposizione a un ampio paniere di titoli, ma ci sono alcune differenze in termini di struttura, operatività e costi, e queste differenze vanno ovviamente conosciute.

Quindi, oggi vorrei dare un po’ delle mie solite informazioni in pillole – inutili per gli esperti ma sensate per chi si sta avvicinando gradualmente al mondo della finanza. 

I fondi indicizzati: cosa sono?

I fondi indicizzati sono tipi di fondi comuni di investimento che replicano la performance di un indice di mercato specifico, come l’S&P 500 o il FTSE MIB, cercando di eguagliarne la composizione e i rendimenti. Gli investitori acquistano quote del fondo, e il gestore del fondo utilizza il capitale raccolto per investire in tutte (o quasi tutte) le azioni o obbligazioni presenti nell’indice di riferimento.

Gli acquisti e le vendite delle quote dei fondi indicizzati avvengono direttamente con la società di gestione del fondo, e il prezzo delle quote viene aggiornato una volta al giorno, alla fine della giornata di trading, basandosi sul valore netto d’inventario (NAV) del fondo.

Generalmente i costi sono bassi. Almeno, lo sono rispetto ai fondi comuni attivi, ma possono includere commissioni di sottoscrizione o riscatto e spese correnti leggermente più elevate rispetto agli ETF.

ETF

Ho già parlato degli ETF, ma vediamo le differenze con i fondi indicizzati. In sostanza, anche gli ETF replicano un indice, ma sono strutturati in modo da poter essere negoziati in Borsa come le azioni individuali. Ciò significa che gli investitori possono comprare e vendere quote di ETF durante l’orario di borsa a prezzi che variano in tempo reale.

La negoziazione in borsa degli ETF permette una maggiore flessibilità e immediatezza nelle operazioni, consentendo di sfruttare strategie di trading come l’acquisto in marginazione e la vendita allo scoperto. Inoltre, gli ETF offrono la possibilità di piazzare ordini limitati, stop loss e altre tipologie di ordini non disponibili per i fondi indicizzati tradizionali.

Perché scegliere gli ETF?

Gli ETF sono noti per i loro bassi costi di gestione, dato che la maggior parte mira semplicemente a replicare l’andamento di un indice senza la necessità di una selezione attiva dei titoli. Tuttavia, essendo negoziati come azioni, comportano costi di transazione e potenziali differenze tra prezzo di acquisto (ask) e prezzo di vendita (bid).

… Va bene, ma quindi?

La finanza non è facile, l’ho ribadito in molte occasioni.

La scelta tra fondi indicizzati e ETF dipende dalle preferenze individuali in termini di modalità di investimento, costi, e strategie di trading. Gli ETF possono essere più attraenti per gli investitori che cercano flessibilità e la possibilità di negoziare attivamente. I fondi indicizzati, d’altra parte, possono essere preferiti da chi desidera un approccio di investimento più semplice e diretto, senza la necessità di gestire le dinamiche di trading intraday.

Entrambi ti aiutano a diversificare il proprio portafoglio.

Quindi, studia ancora un po’, e poi decidi in base alle tue esigenze!

In finanza, la kurtosi è una misura statistica che descrive la forma della distribuzione dei rendimenti di un investimento, in particolare la “pesantezza” delle sue code rispetto a una distribuzione gaussiana. 

La kurtosi è particolarmente importante nell’analisi del rischio, poiché fornisce indicazioni sulla probabilità di eventi estremi, come guadagni o perdite insolitamente grandi.

Come si calcola la kurtosi

È calcolata come una parte della formula della deviazione standard, ma mentre la deviazione standard misura quanto i valori si allontanano dalla media, la kurtosi calcola quanto spesso appaiono valori estremi. 

La kurtosi è spesso associata al rischio di coda in finanza. Una distribuzione leptokurtica, con code pesanti, suggerisce che il rischio di eventi di mercato estremi (come crash improvvisi o guadagni straordinari) è più alto rispetto a quanto si potrebbe aspettare in una distribuzione normale.

Gestione del portafoglio e strategie di investimento

Gli investitori e i gestori di portafoglio usano la misura della kurtosi per valutare il rischio associato a diversi investimenti o strategie di portafoglio. Una comprensione accurata della kurtosi può aiutare a mitigare il rischio di perdite impreviste.

Ma adesso faccio qualche esempio pratico.

Oppure, consideriamo un’azione di una compagnia tecnologica emergente, la quale potrebbe avere una distribuzione di rendimenti leptokurtica. Questo significa che, sebbene la maggior parte dei rendimenti possa essere raggruppata vicino alla media, ci sono relativamente più eventi estremi (sia positivi che negativi) rispetto a un titolo meno volatile. Per gli investitori, questo si traduce in un rischio più elevato di guadagni o perdite imprevisti.

Ci sono poi dei fondi hedge che adottano strategie ad alto rischio, come le operazioni di leva finanziaria o short selling, possono esibire una distribuzione di rendimenti leptokurtica. Gli investitori in questi fondi devono essere consapevoli che, oltre alla possibilità di alti rendimenti, esiste un rischio significativo di perdite ingenti.

Crash del mercato azionario

Eventi come il crollo del mercato azionario del 1987 o la crisi finanziaria del 2008 sono esempi di eventi a coda pesante. 

Sebbene questi eventi siano rari, hanno un impatto devastante. 

Una distribuzione leptokurtica può aiutare a identificare il potenziale per tali eventi estremi nel comportamento del mercato.

Anche i mercati obbligazionari possono mostrare una kurtosi elevata in periodi di stress finanziario o crisi economica. Ad esempio, durante una crisi finanziaria, il rischio di default aumenta, portando a una maggiore probabilità di variazioni estreme nei prezzi delle obbligazioni.

Le compagnie di assicurazione utilizzano spesso modelli che considerano la kurtosi per calcolare il rischio di sinistri. 

In alcuni settori, come l’assicurazione contro calamità naturali, la distribuzione dei sinistri può essere estremamente leptokurtica, con lunghi periodi di piccole perdite intervallati da brevi periodi di perdite catastrofiche.

Questi esempi mostrano come la kurtosi sia un aspetto importantissimo nella valutazione del rischio e nella gestione degli investimenti in finanza, sottolineando l’importanza di considerare la possibilità di eventi estremi nella pianificazione e nell’analisi finanziaria.

Chi ha studiato un po’ di finanza si è certamente imbattuto in Benoit Mandelbrot, anche noto come l’inventore della geometria frattale.

Le analisi delle fluttuazioni del mercato di Mandelbrot

Molti modelli finanziari si basavano sull’ipotesi che i movimenti dei prezzi sui mercati seguissero distribuzioni normali (o distribuzioni a campana di Gauss).

Cosa ha fatto Mandelbrot?

Ha dimostrato che queste assunzioni erano spesso irrealistiche e che i mercati finanziari mostrano in realtà distribuzioni “a coda pesante”, con una maggiore probabilità di grandi fluttuazioni (sia positive che negative) rispetto a quanto previsto dai modelli tradizionali.

Questo significa che, anche se rari, eventi come crolli del mercato o guadagni improvvisi sono più probabili di quanto suggerirebbe una distribuzione gaussiana.

Prendiamo ad esempio il crollo del mercato azionario del 1929 o la crisi finanziaria del 2008.

In una distribuzione gaussiana, tali eventi estremi sarebbero considerati quasi impossibili.

Cosa sono le distribuzioni a coda pesante

Le distribuzioni a coda pesante sono un tipo di distribuzione statistica caratterizzate da code che non diminuiscono rapidamente all’allontanarsi dalla media della distribuzione.

Questo significa che gli eventi estremi, ovvero quelli molto distanti dalla media, hanno una probabilità maggiore di verificarsi rispetto a quanto previsto in una distribuzione gaussiana. 

Nelle distribuzioni a coda pesante, gli eventi estremi (valori molto alti o molto bassi) sono più probabili rispetto a una distribuzione gaussiana. Questo significa che mentre una distribuzione gaussiana tende ad avere una maggior parte dei suoi valori concentrati vicino alla media, una distribuzione a coda pesante mostra una maggiore frequenza di valori estremi.

Nelle distribuzioni gaussiane, le code si estendono simmetricamente da entrambi i lati della media e diminuiscono rapidamente, seguendo una forma a campana. In una distribuzione a coda pesante, le code si estendono più lontano e non diminuiscono così rapidamente, indicando che la probabilità di valori lontani dalla media non cala velocemente come nelle gaussiane.

I fenomeni da coda pesante

Prendiamo gli uragani, le inondazioni o le ondate di calore. Mentre gli eventi meteorologici estremi sono rari, la loro probabilità non è trascurabile e deve essere considerata seriamente nella pianificazione e nella gestione del rischio.

Distribuzione della Ricchezza

La distribuzione della ricchezza in molte società segue una distribuzione a coda pesante. Una piccola percentuale della popolazione detiene una grande parte della ricchezza totale, con valori molto più alti della media. Una distribuzione gaussiana, al contrario, suggerirebbe una distribuzione più uniforme della ricchezza.

Oppure, la dimensione delle città, che segue spesso una distribuzione a coda pesante. Mentre ci sono molte piccole e medie città, ci sono anche alcune città molto grandi (come New York, Tokyo o Mumbai) la cui popolazione è molto superiore alla media. In una distribuzione gaussiana, le città di tali dimensioni sarebbero estremamente improbabili.

Nell’assicurazione, i sinistri possono seguire una distribuzione a coda pesante. Mentre la maggior parte dei sinistri può avere un costo basso o medio, ci sono sinistri estremamente costosi (come i disastri naturali o i grandi incidenti industriali) che, sebbene rari, hanno una probabilità non trascurabile e possono avere un impatto significativo sulle compagnie di assicurazione.

Sento sempre più spesso persone anche del Nord Italia che utilizzano correntemente il termine “sciapo”. Chiunque abbia visto almeno un film in romanesco, anche non necessariamente stretto, ha imparato a riconoscere questo termine come sinonimo di “insipido”, “insapore”.

Però quando è successo che “sciapo” ha smesso di essere considerato un’esoticheria, ed è diventato italiano?

Ho fatto una piccola ricerca.

“Sciapo” è italiano… ma non troppo 

A una prima rapida ricerca, si scopre che alcuni dizionari enciclopedici definiscono il termine “sciapo” come un regionalismo centro-italiano.

Tecnicamente, quindi, non fa parte della lingua italiana, se non come variante locale – però attenzione: non dialettale!

Etimologia

La parola “sciapo” ha una derivazione dal latino “insipidus,” che significa “senza sapore” o “insipido”. La trasformazione linguistica e fonetica ha portato all’evoluzione del termine nel corso del tempo, passando attraverso varie lingue e cambiando leggermente la sua forma. “Sciapo” in italiano riflette questa evoluzione e continua a essere utilizzato per indicare qualcosa di privo di sapore o poco interessante. 

Ma abbiamo anche una derivazione greca.

L’origine del termine “sciapo” è collegata al termine “sképos,” che significa “inconsistente” o “senza gusto.”

Inconfondibile quindi la derivazione mediterranea.

Cambiamo gli accenti

La cosa che più mi ha divertito durante le mie ricerche su Google è stato vedere la domanda: “come si scrive sciapò?”.

Inizialmente non avevo capito. Possibile che fosse un errore di battitura?

Poi ho ripetuto il termine tra me e me.

E poi ho incontrato un’altra domanda, che mi è stata d’indizio: “cosa vuol dire bravo, sciapò?”.

Bingo.

L’ignoranza diffusa ha colpito ancora, ma stavolta in modo capillare, massificato.

Chapeau. Come ho fatto a non pensarci prima?

Ecco che nell’abisso dei burocratismi, degli anglismi e dei gerghi tecnici che trovano sempre maggiore palcoscenico, torniamo a considerare Chapeau come un termine esotico, dall’origine incerta, entrato a pieno titolo nell’italiano parlato correntemente. 

Il Mukbang, fenomeno nato in Corea del Sud, rappresenta un curioso esempio di come le dinamiche sociali si evolvano nell’era digitale. 

Da giovane mai avrei immaginato che la gente si sarebbe seduta davanti a uno schermo per guardare qualcuno che mangia in modo smodato. Questo comportamento sembra essere una distorsione della condivisione del pasto, un rituale sacro in molte culture, in cui il cibo è spesso il pretesto per riunire, per condividere storie.

La mia generazione ha imparato a considerare il cibo come una componente centrale della socializzazione, un momento in cui la conversazione e il legame umano prendono il sopravvento. 

Il mukbang sembra ribaltare questo concetto, trasformando il pasto in uno spettacolo solitario e voyeuristico. La gente non mangia per soddisfare la fame o condividere un momento di convivialità, ma per intrattenere uno spettatore invisibile.

Sempre più soli

Il Mukbang evidenzia anche la crescente solitudine nella società moderna. Quando ero giovane, non c’erano smartphone o internet, e le persone facevano sforzi per connettersi di persona. Ora, sembra che le persone si aggrappino a queste strane forme di connessione virtuale, come guardare qualcuno mangiare online, per colmare il vuoto delle relazioni umane reali.

Il cibo non è più una risorsa preziosa. 

Qui vengono celebrati apertamente l’eccesso e la mancanza di controllo.

Quindi, non è mia intenzione connotarmi nei miei giudizi come irrimediabilmente passé.

Non vorrei ignorare delle nuove esigenze sociali che potenzialmente emergono da questo fenomeno.

Certo, non mi vergogno di dire che mi dispiace vedere quello che per me è un immane quanto assurdo spreco di cibo.

Perché innanzi tutto si tratta spesso di cibo spazzatura, quindi è un messaggio non mandato in direzione dell’educazione alimentare. Questo è il primo spreco.

Ma in più, siamo davvero sicuri che queste star del web non vadano poi a vomitare tutta l’abnorme quantità di cibo che hanno ingurgitato?
Come può essere sana una cosa simile?

L’aggiottaggio, termine originario della lingua francese conosciuto anche come “aggio” in italiano, è un concetto che riflette il differenziale di rendimento tra titoli di durata diversa emessi dallo stesso emittente. Questo fenomeno si verifica principalmente nel mercato obbligazionario, dove gli investitori sono esposti a variazioni nei rendimenti in base alla scadenza degli strumenti finanziari.

Come funziona l’aggiottaggio?

L’aggiottaggio è strettamente collegato alla struttura a termine dei tassi di interesse, la quale descrive il rendimento di titoli di debito con diverse scadenze. In un contesto normale, ci si aspetta che i titoli a lungo termine offrano rendimenti superiori rispetto a quelli a breve termine per compensare gli investitori per il maggiore rischio e la maggiore incertezza legati al periodo più lungo.

Tuttavia, a volte questa regola viene invertita. In altre parole, il rendimento dei titoli a breve termine supera quello dei titoli a lungo termine, creando una curva dei rendimenti discendente. Questo fenomeno può essere causato da diversi fattori, tra cui aspettative di bassa inflazione futura, previsioni di una recessione economica imminente o azioni di politica monetaria da parte delle banche centrali.

Tra le cause abbiamo ad esempio l’aspettativa inflazionistica da parte degli investitori. 

Quando gli investitori prevedono una bassa inflazione futura, preferiscono i titoli a breve termine per evitare di rimanere vincolati a rendimenti fissi a lungo termine che potrebbero essere erosi dall’inflazione.

Oppure, durante periodi di incertezza economica o previsioni di una recessione imminente, gli investitori potrebbero cercare rifugio nei titoli a breve termine, temendo che i rendimenti a lungo termine possano essere influenzati negativamente dalle condizioni economiche avverse.

Allo stesso modo dobbiamo considerare le azioni delle banche centrali.

Come combattere l’aggiottaggio

Gli investitori possono adottare strategie specifiche per mitigare gli effetti dell’aggiottaggio. Ad esempio, allocare parte del portafoglio in titoli a breve termine può proteggere da eventuali perdite legate alle variazioni nei rendimenti. Inoltre, monitorare attentamente gli indicatori economici e le decisioni delle banche centrali può aiutare gli investitori a anticipare e adattarsi a potenziali cambiamenti nella struttura dei rendimenti.

Certo, questa non è una consulenza approfondita, ma vale come informazione generalista e divulgativa.

Chissà se è vero, dato che nel mondo dei consulenti finanziari le formazioni accademiche sono diversissime. O meglio: esistono oggi dei software talmente potenti per eseguire calcoli, previsioni e proiezioni, che serve solo fino a un certo punto la capacità di svolgere questi calcoli manualmente.

Però io in primis ho studiato a fondo delle leggi matematiche che ritengo fondamentali per comprendere la finanza e per fare delle previsioni accurate.

Vorrei condividerle per chi è già e per chi invece si sta avvicinando a questo mondo, magari come me con una provenienza contenutistica molto diversa.

Le leggi matematiche fondamentali per chi fa consulenza finanziaria

1) La legge dei grandi numeri 

Spesso citata come figura retorica, la legge dei grandi numeri è invece una serissima legge finanziaria. In sostanza, dice che all’aumentare del numero di prove, la media dei risultati si avvicinerà sempre di più al valore atteso. Questo principio è fondamentale per la gestione del rischio e la previsione delle performance.

2) La distribuzione normale (o gaussiana) 

Anche qui, la fama della distribuzione normale la precede. Banalmente, è fondamentale.

Senza gaussiana, la valutazione del rischio sarebbe quasi impossibile, soprattutto per molte variabili finanziarie, come i rendimenti degli investimenti. 

La legge aiuta a comprendere la probabilità di eventi estremi e a gestire la diversificazione del portafoglio.

3) La teoria dei portafogli di Markowitz 

Questa teoria si serve della covarianza tra gli asset per creare portafogli diversificati che massimizzano il rendimento atteso per un dato livello di rischio. È un modello da studiare e comprendere, perché è fondamentale nella gestione del portafoglio e nella costruzione di strategie di investimento.

4) La formula di Black-Scholes 

Con lei possiamo decidere il prezzo teorico di un’opzione in base a variabili come il prezzo dell’azione sottostante, il prezzo di esercizio, la volatilità e il tempo residuo.

5) La legge di Bayes 

Cos’è un’analisi dei rischi senza legge di Bayes?

Questa legge permette di aggiornare le probabilità di un evento in base a nuove informazioni, svolgendo un ruolo chiave nella valutazione e gestione dei rischi finanziari.

6) La teoria dei mercati efficienti

La teoria dei mercati efficienti sostiene che i prezzi di mercato riflettono tutte le informazioni disponibili, rendendo difficile battere il mercato in modo consistente. Questa teoria influisce sulla gestione attiva dei portafogli e sulla valutazione dell’efficacia delle strategie di investimento.

Non è tutto, chiaramente. Ma mi sembra un buon pacchetto da cui iniziare!

Dunque, ci ho provato. 

Ho cercato di evitare ogni facile boomerismo (come dicono ora) e con la mente più chiara ho provato ad avvicinarmi alla musica trap.

Innanzi tutto, ho avuto uno scoglio di comprensione: dev’esserci un modo di parlare che fa risultare questi “artisti” riconoscibili tra di loro.

Difetti di pronuncia ostentati, labbra lasse, fischi, stonature corrette dall’autotune.

Forse sono scelte artistiche che non comprendo, non avendo l’orecchio educato?

In ogni caso, non capivo proprio cosa dicessero.

E pare sia importante, in questo settore, dove ormai il missaggio e gli effetti sonori sono abbastanza standardizzati, in mano alla case discografiche/produttori.

Quindi, mi ci sono messo d’impegno, ascoltando decine di testi insulsi ed autoreferenziali, con calembour vacui.

Dubito che questi contenuti possano ambire all’universalità, dato che sono così appiattiti sul gergo e sulla quotidianità strettissima.

Poi, molti riferimenti che non capivo e che ho cercato sono stati connessi a dei “trend”.

Trend…?

I trend sono, molto semplicemente, delle tendenza che emergono sui social network, e che infuriano come vox populi per una manciata di settimane.

Non nominare i trend giusti è un modo sicuro per essere irrimediabilmente tacciati di boomerismo.

Al di là di ciò vorrei scrivere qualche altra parola sulla musica che ho ritrovato in questi brani.

Ecco fatto!

Si chiamano Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) e sono tornati alla ribalta di recente per l’attenzione che hanno dato loro le cronache.

Quasi tutti conosciamo la definizione, ma facciamo un ripassino: i BTP sono titoli di stato emessi dal Tesoro italiano. Servono a finanziare il debito pubblico e le spese governative e hanno scadenze a lungo termine, generalmente comprese tra 3 e 30 anni. 

I BTP offrono un tasso di interesse annuale, noto come cedola, che costituisce il reddito per gli investitori. Possono essere acquistati e venduti sul mercato secondario, il che li rende liquidi e accessibili. Il Tesoro italiano emette nuovi BTP attraverso aste regolari, con gli investitori che partecipano a queste aste offrendo il prezzo che sono disposti a pagare per i titoli.

Come con tutti i titoli di stato, esiste un rischio di credito associato ai BTP, ma sono generalmente considerati sicuri, dato che l’Italia è una nazione avanzata con una buona storia di pagamento del debito.

La storia dei BTP

Nel 1866, durante il Regno d’Italia, fu emesso il primo titolo di debito pubblico italiano, chiamato “Rendimento Nazionale,” per finanziare l’acquisizione di Venezia da parte dell’Italia. Questo è considerato uno dei primi antenati dei moderni BTP.

Durante il XX secolo, l’Italia ha utilizzato vari strumenti di debito pubblico per finanziare le spese del governo. Nel 1939, il governo istituì un nuovo tipo di obbligazione, i “Buoni del Tesoro,” che successivamente evolverebbero nei moderni BTP.

Nel 1951 venne introdotta una riforma dei Buoni del Tesoro, che rese i BTP più flessibili e attraenti per gli investitori. Questa riforma fu un passo significativo nella creazione dei BTP come li conosciamo oggi.

Negli anni ‘70 e ‘80, l’Italia vide una crescita significativa del debito pubblico, e i BTP divennero uno strumento fondamentale per finanziare il deficit di bilancio del governo.

Gli anni ’90 e il nuovo millennio hanno visto ulteriori sviluppi nella struttura e nella gestione dei BTP. Il governo italiano ha continuato a emettere BTP per coprire le spese pubbliche e finanziare il debito nazionale. L’Italia è uno dei principali emittenti di titoli di stato nell’area dell’euro.

Oggi, scelgono i BTP sia investitori pubblici sia investitori privati. Quindi sì, l’attenzione è meritatissima, e consiglio a tutti di fare un’analisi accurata, onde eventualmente approfittare del momento storico.

Per chi si avvicina alla finanza senza avere una formazione specifica, iniziano e risultare interessanti gli Exchange-Traded Fund (ETF). Gli ETF rappresentano un’innovativa forma di investimento che ha guadagnato una certa popolarità negli ultimi decenni – anche solo perché se ne sente molto parlare. 

Con la consapevolezza che non parliamo del sacro Graal, ma di uno strumento tra i tanti, cercherò di spiegare in parole semplici cosa sono gli ETF.

Cos’è un ETF?

Un ETF, o Exchange-Traded Fund, è un fondo di investimento che viene negoziato in borsa, proprio come le azioni. È progettato per replicare l’andamento di un indice, un settore specifico o un paniere di asset sottostanti. Gli ETF sono creati da società di gestione patrimoniale e offrono agli investitori l’opportunità di possedere una piccola parte del fondo, che rappresenta una diversificazione tra i vari titoli sottostanti.

In pratica, gli ETF seguono un indice di riferimento, ad esempio l’S&P 500, che rappresenta le azioni delle 500 principali società statunitensi. Quando un investitore acquista quote di un ETF, essenzialmente sta investendo in una fetta di quel paniere di titoli. A differenza dei fondi comuni di investimento tradizionali, gli ETF sono negoziati in borsa durante l’orario di mercato, proprio come le azioni ordinarie. Questo significa che gli investitori possono acquistare o vendere quote di un ETF in qualsiasi momento durante la giornata di trading.

Gli ETF convengono o no?

Uno dei vantaggi principali degli ETF è la trasparenza. Gli investitori possono monitorare continuamente il prezzo dell’ETF in tempo reale e visualizzare l’elenco completo dei titoli sottostanti. Inoltre, gli ETF sono solitamente associati a costi di gestione relativamente bassi, rendendoli una scelta economica per gli investitori.

In più, consentono agli investitori di diversificare il proprio portafoglio su un’ampia gamma di asset senza dover acquistare ciascun titolo individualmente, e sono altamente liquidi, poiché possono essere scambiati in borsa durante l’orario di mercato. Questo li rende adatti agli investitori che desiderano effettuare operazioni frequenti.

Infine, gli ETF offrono l’opportunità di investire in settori specifici o classi di asset, come mercati emergenti, materie prime o obbligazioni governative.

Possibili svantaggi degli ETF

Gli ETF rappresentano uno strumento di investimento flessibile e accessibile che ha rivoluzionato l’industria finanziaria. Comunque, ripeto, non parliamo di una panacea.

Vorrei rimarcare che, come qualsiasi forma di investimento, gli ETF comportano rischi, tra cui il rischio di mercato e il rischio di perdita del capitale. Prima di investire in ETF, è consigliabile fare la propria ricerca o consultare un consulente finanziario per determinare come questi strumenti possano integrare la propria strategia di investimento complessiva. 

Sono un’opzione di investimento degna di considerazione per gli investitori che cercano diversificazione, liquidità e costi di gestione contenuti nei loro portafogli.

Ma non esagerate!